Il volontario della Croce Rossa di Alzano: tutti gli sforzi per aiutare le persone a casa
«Trasportiamo in ambulanza solo i casi gravi. Riceviamo le chiamate, ci rechiamo sul posto, aiutiamo. Ci chiedono l’ossigeno». «Meno telefonate, tre uscite di media al giorno. Andiamo in ospedali del Milanese, a Lecco. Dipende dai posti liberi. Sirene? Ci hanno chiesto...»
di Elena Conti
«A causa del Covid-19, siamo diventati degli psicologi. Cerchiamo di confortare le famiglie e diamo sostegno come possiamo». Sono le parole di un volontario della Croce Rossa di Alzano Lombardo, che quest’anno compie 42 anni da quando è stata costituita. L’emergenza sanitaria da Coronavirus ha cambiato il loro modo di approcciarsi alle persone e ai malati, cercando soluzioni domestiche per evitare di portarli negli ospedali ormai saturi.
«È cambiato il nostro modo di lavorare - spiega -, prima arrivavamo nelle case e rianimavamo, oppure valutavamo la situazione e stabilizzavamo il paziente per poi portarlo in ospedale. Ora, a meno che non si tratti di casi gravi, non portiamo quasi più nessuno. Riceviamo le chiamate, che sono ormai dei copia-incolla perché i sintomi ormai li conosciamo bene, e ci rechiamo sul posto. Anche se non possiamo portare tutti in ospedale, dobbiamo comunque aiutarli; ad esempio, li aiutiamo a respirare con la bombola d’ossigeno. Il problema è che poi la famiglia l’ossigeno non ce l’ha. Ci chiedono di lasciarglielo ma non possiamo, sappiamo che servirà al malato successivo».
«E allora, quando ci accorgiamo che le persone sono sgomente perché non sanno dove recuperarlo e sono preoccupate per il parente che fatica a respirare, ci mettiamo a telefonare alle farmacie più vicine e chiediamo se hanno bombole d’ossigeno. Quando le troviamo, mandiamo i parenti a recuperarle. Forniamo un sostegno che in questo caso è anche psicologico, cercando di seguire le indicazioni dei medici di famiglia e dando un supporto per gestire situazioni concrete di difficoltà. Soprattutto nel caso di anziani soli, o con badanti straniere che non parlano bene l’italiano».
La buona notizia è che sembra che l’onda critica sia passata. «Riceviamo meno telefonate nell'arco della giornata - afferma il volontario -, la media è di tre uscite al giorno, che però sono parecchio lunghe e ci portano via molte ore. In parte per il supporto che diamo alle famiglie, in parte per l’eventuale trasporto in ospedale che non è sempre quello più vicino. A volte andiamo a Seriate, al Papa Giovanni o a Ponte San Pietro, oppure nel milanese o nel varesotto o all'ospedale di Lecco. Non è più una questione di territorio, ma di posti liberi. Una volta è successo che, mentre eravamo in fila ad aspettare che visitassero la persona che trasportavamo, il posto si è liberato perché quello che stava prima di noi non ce l’ha fatta».