Giusy di Stezzano racconta la sua "trincea": «La settimana più brutta della mia vita»
Un calvario iniziato il 16 marzo. Isolamento, medicinali e una bombola di ossigeno liquido. «Ho solo dormito, digiunando, con la febbre. Dieci giorni di antibiotici, preghiere di amici e parenti. Adesso sono fuori pericolo»
di Laura Ceresoli
La piccola Noemi ha cinque anni e da diversi giorni osserva spaventata la sua mamma attraverso la porta socchiusa della sua stanza. Le manda baci a distanza e le sussurra «Andrà tutto bene». E Giusy Norelli, sdraiata a letto con l’ossigeno a portata di mano, ricambia gli sguardi della figlia da lontano, accennando timidi sorrisi. Il calvario di questa 44enne di Stezzano, operatore tecnico alberghiero ausiliario all'ospedale Papa Giovanni XXIII, è iniziato il 10 marzo scorso. Brividi, una lieve febbre, dolori muscolari. Ma quelli che parevano i sintomi di una banale influenza erano invece le prime avvisaglie del Covid-19.
«L'ho vista davvero brutta - racconta Giusy ora che il peggio sembra passato -. Dal 16 marzo sono in isolamento per coronavirus e tutta la mia famiglia in quarantena. Quando ho iniziato a sentirmi poco bene, ho chiamato il mio medico curante che mi ha prescritto antibiotico, aerosol e mi ha consigliato di stare a casa per qualche giorno. Venerdì 13 ho richiamato di nuovo la dottoressa perché accusavo strani dolori nelle spalle e nelle gambe, mai avuti prima. Mi ha detto di stare a riposo e che ci saremmo risentiti se mi fossi aggravata. Nel frattempo, per calmare i dolori assumevo venti gocce di Toradol perché non riuscivo neanche a dormire dal male. Dal momento che soffro di uno stato di artrosi avanzato e grossi problemi alla cervicale e lombare, se resto ferma la patologia peggiora. Ho quindi deciso di farmi forza e il lunedì sono andata al lavoro. Amo moltissimo il mio ruolo e mi rende felice e soddisfatta aiutare infermieri, operatori socio-sanitari e far sorridere gli ammalati».
Quando però nel pomeriggio di quel lunedì 16 marzo Giusy ha fatto ritorno a casa, la febbre ha ricominciato a salire: «Avevo un mal di testa terribile e mi sentivo molto strana, come se ci fosse un corpo estraneo dentro di me - spiega -. Quella sera è iniziato il mio calvario. Il mio compagno e i miei figli hanno fatto mille telefonate al 112, al medico di guardia e all'Ats e devo dire che forse sono stata fortunata perché si sono attivati subito e hanno messo in quarantena tutta la mia famiglia e me in isolamento fino al 31 marzo. Nel frattempo son peggiorata e il mio compagno ha chiamato ancora il numero verde e il 112 per sapere come comportarsi. Mi hanno prescritto subito la cura: due tipi di antibiotici (Zitromax e Augmentin) e, grazie all'ospedale Papa Giovanni, mi hanno portato a casa una bombola di ossigeno liquido che durava due settimane. Mi hanno consigliato di curarmi a casa perché lì all'ospedale non c'era posto e, in caso di ricovero, mi avrebbero portata a Novara. Ho monitorato sempre la saturazione che si aggirava sugli 86/87 e quando avevo piccole crisi respiratorie, partiva l'ossigeno che me la alzava. Dopo cinque giorni, sono stata contattata dai sanitari dell'ospedale che venerdì 20 marzo sono venuti a casa a farmi il tampone che è poi risultato positivo».
Le giornate che si sono susseguite sono state dure per Giusy: «Che posso dire? È stata la settimana più brutta della mia vita. Ho visto la morte. Ho solo dormito, digiuna e febbre che faceva alti e bassi...