La lettera del parroco di Alzano: 67 morti, il pianto e la fede che trema
Nelle comunità di Alzano Maggiore e Alzano Sopra dal 2015. Ripercorre questi giorni: «Ho rincorso defunti che non si sapeva di preciso dove fossero. Ho fatto tutto perché nessuno morisse senza una preghiera, una benedizione». «Mentre cercavo di consolare, sentivo anch’io di avere bisogno di essere confermato nella fede. Mi sono scoperto povero, fragile, vulnerabile»
Un’intensa lettera di don Filippo Tomaselli, parroco dal 2015 delle comunità di Alzano Maggiore S. Martino vescovo e Alzano Sopra S. Lorenzo martire. Ripercorre questi lunghi giorni attraversati dal dolore e scrive: «Mentre cercavo di indossare i panni del “consolatore” sentivo, giorno dopo giorno, di avere anch'io il bisogno di essere confermato nella fede», ricorda i tanti lutti, sente che usciremo da questa esperienza diversi da come eravamo «un po’ ammaccati, ma interiormente accresciuti», e per questo, nonostante tutto, benedice Dio. «In un mese sorella morte ha bussato alle porte delle mie due comunità sessantasette volte. Non avrei mai immaginato una cosa del genere. Appartengo al nutrito gruppo di coloro che avevano ampiamente sottovalutato il problema del virus. All'inizio se ne parlava quasi fosse semplicemente una forma particolarmente aggressiva di influenza, fino a quando qualcuno ha cominciato a parlare apertamente di pandemia. Da lì le cose sono precipitate. Purtroppo con una rapidità impressionante…».
«Ricordo i primi funerali. Si poteva ancora celebrarli in Chiesa, seppur con la presenza dei soli parenti stretti, senza il conforto dato dalla vicinanza degli amici più cari. Poi, in pochi giorni, non è più stato possibile nemmeno celebrare la Messa in parrocchia…».
«Ho passato giornate intere a rincorrere defunti che non si sapeva nemmeno di preciso dove fossero finiti. Ho fatto tutto quello che era in mio potere perché nessuno dei miei parrocchiani morisse senza una preghiera di suffragio, cercando di trovare il momento giusto per impartire anche solo una rapida benedizione».
«Ho cercato di tenere i contatti con parenti disperati che, dopo il ricovero di emergenza dei loro cari, non avevano più potuto né vederli né sentirli. Giorni terribili aspettando ansiosamente una telefonata: una chiamata di pochi secondi dall'ospedale che costituiva l’unica possibilità di sapere qualcosa, senza peraltro poter far nulla».
«Non nego tante volte il mio imbarazzo. Che cosa dire a persone tragicamente provate dal dolore, costrette a stare in casa in quarantena senza neppure poter dare l’ultimo saluto al proprio caro? Mi sono venute in mente le parole del Vangelo: “In quel momento lo Spirito Santo vi suggerirà quello che dovete dire”. Ed eventualmente anche “quello che non dovete dire”. I discorsi di circostanza, infatti, non servono a nulla. La vicinanza silenziosa a volte è l’unica “parola” davvero sensata».
«Mentre cercavo di indossare i panni del “consolatore” sentivo, giorno dopo giorno, di avere anch'io il bisogno di essere confermato nella fede. Mi sono scoperto povero, fragile, vulnerabile. Ho pianto. Più di una volta. Ed era anni che non lo facevo…».
«In un giorno solo - il 7 marzo - sono tornati alla casa del Padre ben otto parrocchiani. Tra loro Luigi: lo storico factotum della parrocchia e dell’Oratorio di Alzano Sopra: un uomo dal cuore d’oro; uno tra gli alzanesi più universalmente amati e stimati. Sei giorni dopo se n’è andato anche Claudio, il sagrista della parrocchia di San Lorenzo. Sembrava una roccia, un uomo pronto a sfidare il mondo, eppure in pochi giorni il virus se l’è portato via. Potrei citare tante altre persone: parrocchiani, collaboratori, amici… Lutti pesanti che mi hanno segnato in profondità. E mi hanno messo alla prova».
«Nella preghiera ho potuto sperimentare la consolazione che viene dalla fede...