Siro di Casnigo, bloccato in India da gennaio: «Qualcuno mi aiuti, qui rischio la vita»
Il 58enne è fermo a Puri, dove era arrivato a gennaio. «Vivo nella casa di un amico rientrato in Europa. Qui mi vedono come un untore: ho paura. Dalla Farnesina nessun supporto»
di Giambattista Gherardi
Doveva essere un viaggio di piacere, in una terra già visitata in passato e dove era nata e cresciuta un’amicizia che al momento è l’unica ancora di salvezza. Siro Rossi, 58 anni di Casnigo, è bloccato in India dallo scorso gennaio, barricato in una casa privata da quando a marzo è scoppiata la pandemia e anche nel grande Stato asiatico è scattato il lockdown. È una vera e propria avventura, alla quale manca tuttora il lieto fine del rimpatrio. Da qui nasce l’appello disperato di Siro alle autorità italiane, affinché «rendano possibile il mio rientro in Italia, adoperandosi nel concreto come tanto propagandato sui media».
Tutto è iniziato il 21 gennaio scorso, quando Siro Rossi atterra all’aeroporto di Nuova Dehli accolto dall’amico Ashok Kumar Sharma, conosciuto sin dagli anni ’90. Ashok vive in Europa, e da anni ha messo su famiglia in Austria. «Mi ha contattato a fine 2019 - spiega Siro - segnalandomi che sarebbe rientrato in India nella città natale di Puri (sul mare, nello stato federato di Orissa, ndr) per sistemare i danni (non di poco conto) che il tifone estivo aveva causato alla sua abitazione. La voglia di ritornare in quel Paese incredibile era tanta, più che altro per il ricordo del mare, delle sue onde e della gentile brezza marina che spira ogni giorno in questa città santa indiana. Ho pensato potessi unire al dilettevole anche l’utile di dare una mano ad Ashok per i lavori». Siro ottiene il visto a dicembre 2019 ed il 20 gennaio decolla verso New Dehli, con il ritorno fissato al 12 marzo.
«Muniti di un normale bagaglio e di molti medicinali (sempre utili in questi viaggi), ho preso con me anche le preziose batterie per gli apparecchi acustici di cui sono dotato. A Puri, Ashok mi ha prenotato una camera nell’hotel locale e io volentieri ho diviso il tempo fra lavori a casa sua e vacanza. Puri è come sempre affollata. È una delle città sante dell’India con i suoi templi. Il più visitato e famoso è il Lord Jhagonnath, dove milioni di visitatori fanno la fila per entrare. Non è possibile visitarlo se non si è Hindu».
Siro ricorda la tradizionale cordialità degli indiani e il clima sociale sereno delle prime settimane. «A fine febbraio lo scenario è cambiato improvvisamente. Le notizie che arrivano dall’Italia disegnano un quadro drammatico e vengono bloccati i voli aerei. Ashok riesce a rientrare in Austria come programmato, in quanto ancora non sono chiusi i voli verso Vienna. Io contatto l’Unità di Crisi alla Farnesina, ma mi dicono di contattare l’ambasciata o il consolato a me più vicino, che è quello di Calcutta. Nel frattempo, i miei auricolari non funzionano più e aggiungo all’ansia anche un importante deficit uditivo. Qui sembrava tutto normale fino a che non è iniziata a circolare la notizia del blocco dell’Italia e dell’Europa. Improvvisamente ero diventato agli occhi di tutti una persona pericolosa. Il proprietario dell’hotel in cui ero alloggiato mi intima di andarmene, per paura di ritorsioni. Gli altri ospiti stranieri (un giapponese, un inglese, un tedesco e un indiano naturalizzato finlandese) mediano un poco ed essendo tutti a rischio, decidiamo di farci controllare in ospedale per evitare che ci sia qualcuno contagiato. L’ufficiale delle emergenze dell’ospedale governativo di Puri, dopo averci isolato e visitato, ci rilascia un “certificato di buona salute”».
«Al ritorno in hotel - continua il suo racconto Siro -, pare che il proprietario si sia calmato ma il giorno dopo mi richiede di andarmene. Finisco per chiedere ad Ashok (rientrato in Europa) di poter utilizzare la sua casa, nonché un telefono che mi fa da hotspot per collegarmi a Internet. Sento più volte il consolato informandolo del mio cambio di residenza e indico che avrò problemi di visto. Mi dicono di non preoccuparmi, ma invece lo sono, al punto che il taxi che mi porta via dall’hotel arriva solo la sera, per dare meno nell’occhio: ignoranza e superstizione, mischiati con il panico e l’intolleranza razziale potrebbero creare reazioni irrazionali. Qualcuno potrebbe pensare di farsi giustizia da sé».
Dalle autorità italiane a New Dehli (che è dichiarata zona rossa ed è blindata dall’esercito), Siro viene invitato a rivolgersi al consolato di Calcutta, che dopo una serie di contatti iniziali ora tace, limitandosi a inviare un link a un sito del Governo Indiano che per Siro è inaccessibile. «All’inizio la viceconsole mi chiamava ogni giorno – spiega il 58enne –, poi ad aiutarmi è stata per fortuna un’impiegata indiana, che mi ha aiutato online a compilare l’estensione temporale del visto. In un momento di sconforto ho pensato che se fossi un mafioso, forse sarei già a casa. Qui il blocco continuerà fino al 17 maggio, poi si vedrà. Ho chiamato tante volte l’unità di crisi della Farnesina, ma sempre senza risposta. Non so come stiano gestendo questa crisi, ma mi rendo conto che se ci succede qualcosa all’estero non è grazie alle autorità che si riesce a venirne fuori. Io devo tutto ad Ashok. L’amicizia è stata la mia salvezza e lo sarà per tutti noi».