Angelo Benedetti, lo storico parrucchiere di Mozzo che ha fatto la barba al virus
A marzo in ospedale per la madre, subito dopo è stato male. La mamma è mancata, la moglie ricoverata, lui ha lottato. 47 giorni di riflessioni e chiacchiere con amici e parenti: «Mi chiamavano call center, poi ho finito i giga...»
di Dino Ubiali
Per quasi quarant’anni è stato il barbiere storico di Mozzo. Ha fatto barba e capelli a quasi tutti gli uomini del paese. E anche Angelo Benedetti ha affrontato la sua battaglia con il Covid. «Mia madre, 92enne, era stata operata al femore per una caduta e dopo un mese di ricovero a Ponte San Pietro, sono andato a prenderla. Sono rimasto nel reparto per tre ore ad attenderla visto che la camera dove c’era mia mamma stava per diventare una di quelle del reparto Covid».
Benedetti ha aiutato gli infermieri a caricare la madre sull’autolettiga con destinazione casa. «Il giorno dopo, il 13, ho manifestato i primi sintomi febbrili, e nel frattempo il 15 mia madre è mancata “per morte naturale” senza neppure il tampone». Benedetti prede l’aspirina, poi gli antibiotici, ma le cure non abbassano la febbre anzi se beve qualcosa sta male, digiuna per tre giorni. «Sabato 19 svengo, domenica mattina mia moglie chiama il 112 e lunedì 21 mi sveglio all'ospedale di Bergamo, Torre tre, con il famoso casco Cpap».
Dopo tre giorni viene trasferito al piano zero e poi al primo piano, sempre con il casco, poi intubato per otto giorni. «Il casco non mi dava molto fastidio, tranne quando volevo dormire ma era impossibile per il rumore continuo, quando appoggiavo la testa al cuscino». Durante la sua degenza è sempre stato con altri pazienti, di solito uno, con i quali poi ha stretto un rapporto epistolare via Whatsapp e telefono, anche in seguito. «Ho sempre affrontato la situazione con un approccio positivo, “ce la faremo, ce la farò”. E quando il medico nei primi giorni mi ha chiesto se volevo partecipare alle cure sperimentali ho dato il mio immediato assenso. Più che per la mia salute perché la mia disponibilità poteva aiutare i medici e di conseguenza altre persone colpite dal Covid a guarire più rapidamente. La sperimentazione fin dai primi giorni ha aiutato chi è venuto dopo di noi a uscire prima dall'incubo del virus».
La famiglia veniva aggiornata tutti i giorni sulle sue condizioni e sui suoi miglioramenti. «Devo dire che la mia permanenza nel nostro ospedale è stata ottima, gli infermieri i medici sempre disponibili». Durante la terapia intensiva, sedato ma sempre vigile, Benedetti ha avuto il suo momento peggiore: «Mi hanno avvisato che mia moglie era stata ricoverata per una polmonite, e anche se era negativa al tampone, mi è crollato il mondo addosso. Ho pregato mio papà e la mia mamma di salvare mia moglie e per fortuna lei è uscita prima di me, mentre mia figlia Eleonora non ha avuto nulla».
Altri 21 giorni li trascorre in reparto, solo con la mascherina di ossigeno e con la compagnia del suo smartphone. «La video chiamata mi ha aiutato molto anche se dopo pochi giorni avevo già terminato i giga. La solidarietà tra ricoverati è grande: un vicino di stanza mi ha segnalato che Vodafone regalava un mese di traffico dati ai malati di Covid e così ho ripreso le mie video chiamate». In reparto lo chiamavano «Call center»...