Nembro, parole scolpite nel cuore. «Grazie per aver lavato mio marito un’ultima volta»
Assistono circa 1.500 persone anziane, fragili e malate. Durante l’emergenza il 20 per cento degli operatori ha contratto il virus. Le parole dette ad Aura dalla moglie di un uomo gravemente malato. Federica: «Andiamo avanti. Alla fine potremo piangere»
di Fabio Gualandris (in copertina la sede di Bergamo Sanità a Nembro, foto Quaranta)
Nell'emergenza Covid ha assunto un ruolo importate l’opera di vicinanza alle persone anziane da parte degli operatori di Bergamo Sanità, cooperativa socio-sanitaria accreditata con sede operativa a Nembro (nella stessa palazzina opera anche il Centro Medico Polispecialistico). Presentiamo alcune testimonianze di operatori delle cure domiciliari che - nei giorni della pandemia - sono rimasti al fianco delle famiglie con anziani che avevano ancor più bisogno di sostegno e vicinanza.
Giancarlo Magoni, Medico Geriatra, Direttore Sanitario. «All'inizio dell’emergenza ci recavamo dai pazienti che il 112 non riusciva a visitare. Ci chiamavano i parenti e i medici di base. Un grande numero delle persone assistite al domicilio ha avuto sintomi Covid-19 correlabili: febbre, tosse e dispnea i più frequenti anche tra loro associati nel 30 per cento delle situazioni. Bergamo Sanità disponeva di una certa scorta di protezioni individuali; questo ha consentito di dotare il personale di Dpi sufficienti per proseguirei servizi. Nonostante ciò il 20 per cento dei nostri operatori domiciliari è stato esposto all'infezione - fortunatamente non in maniera grave - e ha dovuto stare in quarantena. Abbiamo fornito gli operatori di un Kit Dpi più completo e adeguato alle linee guida provinciali. Infatti alla luce della situazione sanitaria della provincia di Bergamo non era praticabile una differenziazione netta tra servizi rivolti a casi Covid-19 e quelli rivolti ad altra tipologia di utenza. Recentemente abbiamo sottoposto a tampone 44 operatori delle cure domiciliari: l’esito è stato per tutti negativo!».
Alice Zanoli, Psicologa, Rsa Aperta. «Da fine febbraio erogare servizi a domicilio è diventato sempre più difficile, la propria casa è diventata ancora di più un luogo da proteggere da contaminazioni esterne, lasciando entrare solo chi è strettamente necessario, ad esempio le figure socio-sanitarie. Mi è dispiaciuto molto, non poter stare vicino ai miei pazienti. Ora con la Fase 2 anche nei servizi si sta programmando la ripresa dei nostri interventi psico-sociali ed educativi (stimolazione cognitiva, sostegno ai familiari). Due volte a settimana continuo a vedere a domicilio una mia paziente, vive da sola, da più di un mese non vede le due figlie, le due sorelle e i nipoti. Io sono l'unica persona che va in casa, ovviamente con tutte le precauzioni del caso. La malattia di Alzheimer è ancora alle fasi iniziali quindi la signora è ancora autonoma e non ha problemi a passare le giornate da sola, ma quando vado nei due pomeriggi concordati, do una piccola svolta alla sua giornata, perché la signora si veste, pulisce casa, e quando abbiamo finito il nostro lavoro, arriva il momento più bello della giornata per lei: quando ci sono io può finalmente fare la moka da tre “perché fa il caffè più buono”, dice».
Federica Brignoli, Infermiera, Adi. «È stato strano gironzolare in macchina per le vie deserte del paese. I vigili mi fermano ma non leggono nemmeno il permesso di circolazione che gli mostro, loro si soffermano sul mio tutone idrorepellente e sul materiale sanitario che ho in macchina. Mi guardano, sorridono mesti e dicono “vada signorina, lei ha del lavoro da fare”. Essere infermieri Adi al tempo del Coronavirus vuol dire anche questo: avere privilegi che in realtà sono pesanti fardelli. Le persone si annoiano nelle case mentre io, che posso uscire e girare liberamente, darei qualunque cosa per potermi fermare. Sappiamo tutti che adesso non possiamo farlo, non è il momento per noi sanitari di tirare il freno a mano e respirare. Andremo avanti fino a quando sarà necessario... poi, alla fine di tutto, forse ci permetteremo di versare qualche lacrima e curare anche le nostre ferite».
Aura Avadani, Infermiera, Adi. «In questo periodo di cure domiciliari ai tempi del Covid-19 ho capito quanto è importante essere umani nel nostro lavoro. Ho fatto cose che non avrei mai pensato di fare e che non rientrano nelle strette “competenze” di un infermiera: dal fare la spesa al preparare un tè caldo, dal dar da mangiare agli animali da compagnia al piangere insieme ai figli per la perdita dei genitori, da insegnare a usare WhatsApp a rendermi disponibile per ricercare una badante. Ho potuto anche capire che spesso ciò che è importante per noi professionisti (tempo dedicato alla somministrazione dei farmaci, le telefonate costanti con il medico, il praticare una flebo...) non è quello che i familiari dei nostri assistiti metterebbero al primo posto. Una signora che si prendeva cura del marito anziano mi ha detto “grazie per aver lavato mio marito, per non averlo lasciato morire sporco”. Cose semplici, umane».