In Cina più cristiani che comunisti
In Cina i cristiani avrebbero superato gli iscritti al partito comunista. A dirlo è un interessante articolo del quotidiano inglese The Economist, che analizza la vita dei fedeli sotto il Dragone. La scorsa settimana anche il Financial Times Weekend Edition aveva dedicato la sua copertina alla chiesa cinese che cresce. Si stima che i cristiani, cattolici e protestanti, siano 100 milioni contro gli 86 milioni degli iscritti al partito comunista, e se si continua così nel giro di 15 anni la Cina potrebbe essere il primo paese cristiano al mondo. In tutto ci sarebbero 57mila chiese, di cui molte sotterranee.
Il governo cinese non ci sta. Un’impennata, quella dei battezzati, che sta preoccupando non poco il governo di Pechino. E lo preoccupa a tal punto che in molti casi chi pratica il cristianesimo viene equiparato a chi prende bustarelle. Praticare una religione, qualunque essa sia, corrisponde a una specie di corruzione morale, perché ai vertici di ogni valore c’è lo Stato. Il presidente Xi Jiping ha inglobato la lotta alle conversioni nella sua campagna anticorruzione per fare in modo che il partito comunista non si estingua. La pratica delle religioni, nonostante sia prevista dalla Costituzione, viene vista come un affronto all’ateismo di partito. Nei mesi scorsi è stato abbattuto un grande numero di chiese e sono state fatte sparire quasi tutte le croci. Nella sola città di Wenzhou, chiamata la Gerusalemme cinese dato che il 15% della popolazione è cristiana, quest’anno sono state abbattute 400 tra croci e chiese, ufficialmente perché non in regola con la normativa urbanistica. Gli abitanti, oggi, si danno il turno per difendere l’ultima croce rimasta, presidiandola giorno e notte. Il governo chiede ai cristiani che vogliono pregare e professare la loro fede di farlo in luoghi approvati dal Pcc e sotto il controllo governativo. In ciascuno di questi luoghi ci sono telecamere puntate sui predicatori per controllare i sermoni, che non devono discostarsi dalle linee governative.
Mai come sotto il presidente Jiping si era vista una simile discriminazione, che sta però sortendo l’effetto contrario. Il partito ha infatti ammesso che sempre più funzionari sono fedeli cristiani, o buddhisti. L’ateismo di Stato, però, deve essere un principio su cui si basa la Cina, almeno secondo quanto afferma il presidente della Commissione per gli affari etnici e religiosi della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese dalle colonne dell’edizione internazionale del Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del partito. Come a dire che tutto il mondo deve sapere che la Cina i cristiani proprio non li vuole.
I numeri. Nonostante le campagne antireligiose, però, internet restituisce un barlume di speranza. Fra i cinesi, su Google le ricerche su “Dio” “Gesù” “Bibbia” “Papa” hanno superato di gran lunga “Xi Jiping” “Mao” e “Libretto Rosso”. Secondo l’ufficio statistiche governativo, i cattolici sarebbero 5,3 milioni ma la Diocesi di Hong Kong ne calcola 12 milioni, se si comprendono anche quelli delle chiese clandestine osteggiate dalle autorità e fedeli al Vaticano.
Non si tratta solo di cattolici. Il numero dei protestanti, vera maggioranza dei cristiani cinesi, secondo i calcoli del China Daily si aggira su una cifra compresa tra i 23 e i 40 milioni, e vengono battezzate circa 500 mila persone al giorno. Entro il 2015 le stime dicono che i protestanti saranno 160 milioni: più dei loro fratelli nella fede americani. Non solo. In Cina c’è la più grande fabbrica di Bibbie al mondo. Il Dragone ha stampato 125 milioni di testi sacri da quando aprì i suoi battenti nel 1987: il 60 per cento destinate al mercato interno e il 40 per cento destinate all'estero.
Il Cristianesimo in Cina, La storia del cristianesimo in Cina risale al VII secolo: lo testimonia una stele ritrovata nel 1625 che parla della presenza di cristiani nestoriani giunti in Cina dalla Persia per sfuggire ai conflitti con Bisanzio. Furono i Francescani mandati da papa Niccolò IV i primi a sbarcare in Cina come missionari, che fondarono la prima chiesa a Pechino nel 1299 ma la scarsa sensibilità nei confronti della cultura cinese portò la missione ad avere poco successo. Con l’avvento della dinastia Ming la Cina si chiuse al mondo, fino alla seconda metà del sec. XVI, quando i primi missionari gesuiti poterono di nuovo evangelizzare. Si deve a padre Michele Ruggeri e soprattutto al suo discepolo Matteo Ricci la nuova evangelizzazione in chiave gesuita: la loro intelligenza e il rispetto per le idee già portate dal confucianesimo resero Matteo Ricci l’Occidentale più conosciuto e stimato nel Celeste impero e la sua fama dura ancora oggi.
È del 1692 la proclamazione dell’editto di tolleranza, che permetteva la conversione al cristianesimo e concedeva il diritto di costruire chiese e predicare pubblicamente. Una stima reciproca, tra cinesi e gesuiti, che andò in contrasto con Roma e portò alla chiusura della missioni nel 1773. Le missioni cristiane tornarono a rifiorire a metà dell’800 dopo la fine della prima guerra dell’oppio, e fino all’avvento della Repubblica Poplare Cinese diedero un attivo contributo alla vita culturale del Paese, distinguendosi nell'ambito educativo. Ma nel 1949 Mao Tse-Tung prese il potere e il cristianesimo fu combattuto con ogni mezzo, sradicato ed estirpato dal tessuto sociale cinese. Le Chiese cristiane vennero accusate di essere conniventi con le potenze imperialiste. Nel 1957 il Partito Comunista creò l’Associazione patriottica cattolica cinese, per controllare le attività dei cattolici e decidere chi può diventare prete e vescovo. È la chiesa ufficiale, che si contrappone alla chiesa sotterranea che vive in comunione con Roma e il Vaticano. Si stima che la chiesa patriottica abbia 4600 chiese e ufficialmente non ha rapporti con la chiesa cattolica. È dal 1951, quando la Santa Sede non riconobbe Taiwan, che la Cina e il Vaticano non si parlano. Ma negli ultimi anni non sono mancati segnali di disgelo.
Cliccate qui per leggere la storica lettera che nel 2007 Papa Benedetto XVI scrisse ai cattolici cinesi.