Isabel Suppé e la sua montagna Troppo bella per morirci davvero
Il 20 novembre alle 21 il Palamonti ospiterà una giovane alpinista e scrittrice, che presenterà al pubblico del Grande Sentiero un libro tratto una storia vera. La sua. Il titolo originale di Una notte troppo bella per morire – Noche Estrellada – richiama volutamente il dipinto di Van Gogh Notte stellata, un’opera amata da sempre da Isabel Suppé, che si incrocia con la sua passione per lo stupore e la bellezza racchiusi nella natura. E con quel momento sospeso tra vita e morte in cui un giorno si è imbattuta.
Una notte troppo bella per morire. Ma facciamo un passo indietro. Il 29 luglio 2010 Isabel Suppé sta compiendo l'ascesa all'Ala Izquierda, l'ala sinistra del massiccio del Condoriri. Insieme a lei, ad affrontare la montagna, c’è Peter Wiesenekker, compagno di scalata conosciuto due giorni prima a La Paz. A poca distanza dai quasi 5.500 metri della cima, la montagna li tradisce e i due, legati, scivolano e precipitano in caduta libera per 400 metri. Wisenekker è ferito, anche alla testa; Suppé ha alcune ossa della gamba che le bucano la pelle. Lui non si muove, lei sa che l'unico modo per allertare il campo base è lanciare un segnale luminoso, che sarebbe però visibile solo se lanciato dall'altra parte del ghiacciaio rispetto a quella in cui si trovano loro. Wiesenekker sta morendo di ipotermia, Suppé ha ancora abbastanza forze per lottare per la sua sopravvivenza. L'obiettivo la rende più lucida che mai e inizia a ricordare i vari metodi per non disidratarsi e per non morire di freddo. Wiesenekker muore, Suppé inizia a soffrire di allucinazioni sempre più frequenti. Le stelle sembrano torce infuocate e vede uomini che le vengono incontro con tende e sacchi a pelo. Dopo quaranta ore arrivano i soccorritori, veri. E la salvano.
La rinascita. Suppé viene portata a La Paz dove subisce la prima di una lunga serie di operazioni, dieci fino a ora, prima per salvare il suo piede dall'amputazione e poi per rimetterle in sesto la caviglia. I medici le dicono che non può più arrampicare, ma lei decide di riprovarci solo tre settimane dopo, naturalmente senza poter fare leva sulla gamba destra. Suppé ricomincia ad arrampicare, prima con il gesso, poi con le stampelle.
Nove mesi dopo l'incidente diventa la prima donna ad aver scalato in solitaria un'alta e rischiosa cima andina, Nevado de Cachi, ed esattamente un anno dopo, apre, con un compagno alpinista, un nuovo sentiero e lo chiamano “The Birthday of the Broken Leg” (Il compleanno della gamba rotta). Vuole arrivare all'Himalaya. E, in questo, le piacerebbe organizzare una spedizione sull'Everest per raccogliere fondi necessari a realizzare il sogno di Wiesenekker: aprire una scuola per bambini in Pakistan.
Tra letteratura e montagna, comunque lo stupore. Isabel Suppé, di origine tedesca, proviene da una famiglia in cui l'alpinismo non è certo una novità. Grazie ai suoi nonni si appassiona alla montagna e a 22 anni si trasferisce in Argentina. Isabel racconta di aver scelto proprio quel luogo semplicemente per il suono del suo nome – Argentina –: del Paese sapeva solo che la capitale era Buenos Aires e che molti scrittori erano nati lì. Inizia non a caso a studiare letteratura latinoamericana ed è solo due anni dopo che scopre le Ande e capisce che il Sudamerica, con le sue cime inespugnabili, è la terra che fa per lei.
Parallelamente alla passione per la scalata alle vette, Suppé coltiva sempre l'hobby della scrittura. È stata proprio questa attività a salvarla e ad aiutarla a trascorrere i mesi postoperatori. Una notte troppo bella per morire è stata la cura che l'ha aiutata a non impazzire durante il periodo di totale immobilità ospedaliera, quando aveva la gamba appesa a un gancio, la mano sinistra ferita, e la sua libertà fisica era limitata alla possibilità di cambiare lievissimamente posizione.
La mano destra però può tenere una penna. Così, inizia a scrivere. La stesura del libro viene terminata in Africa, dove Isabel percorre i monti dell'Atlante insieme al fratello, in sella alle loro due bici: Rocinante (Ronzinante) e Sancho Panza. L'alpinista è stata anche in Italia, tra marzo e aprile 2013, in un minitour di presentazione del suo libro, percorrendo il Paese su una sorta di triciclio spinto con la forza delle sue braccia.
Il libro di Isabel Suppé, alloa, è una storia di sopravvivenza e di rinascita. Non è solo una storia di arrampicata, di sport estremi, dell'essere umano che si sente piccolo al cospetto della grandezza e della forza smisurata della montagna. Il titolo della sua opera racchiude quella che per Isabel è l'essenza della condizione umana: avere la capacità di commuoversi per la bellezza della natura, anche di fronte alla morte. Dopo l'ospedale la seconda sfida: recuperare l'uso della gamba. In tutto questo, riuscire a stupirsi sempre, e in ogni situazione, dell'incanto che il mondo ci offre. Come quando le stelle, oltre a torce infuocate per colpa delle allucinazioni da ipotermia, hanno reso una notte infernale «troppo bella per morire».