Il cibo per tutti ci sarebbe

Il discorso del Papa alla Fao (spiegato e con note a margine)

Il discorso del Papa alla Fao (spiegato e con note a margine)
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Papa Francesco ha parlato alla FAO, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di cibo e Agricoltura. Agenzia per altro molto costosa, se - come pare - ben più di metà del budget va in stipendi e spese organizzative. In breve: mangia più soldi di quanti non ne dia agli affamati. Forse alludeva a questo fatto il papa quando manifestava agli organizzatori il proprio compiacimento per la decisione di riunire l’attuale Conferenza «al fine di studiare insieme le forme d’intervento per assicurare la nutrizione, così come i cambiamenti necessari che si devono apportare alle strategie attuali». Strategie che, come si evince dal seguito, la Chiesa sempre «attenta e sollecita nei confronti di tutto ciò che si riferisce al benessere spirituale e materiale delle persone, anzitutto di quanti vivono emarginati e sono esclusi» considera sbagliate.

Non è (tutta) colpa della FAO se le cose vanno così, ha proseguito il papa. Il fatto è che «viviamo in un’epoca in cui i rapporti tra le nazioni sono troppo spesso rovinati dal sospetto reciproco, che a volte si tramuta in forme di aggressione bellica ed economica, mina l’amicizia tra fratelli e rifiuta o scarta chi già è escluso».

È la politica internazionale, dunque, a non attraversare un momento particolarmente felice. È la tensione crescente fra gli stati a far sì che gli impegni più volte formulati (e presi) in ordine alla nutrizione del pianeta abbiano avuto come esito quello universalmente attribuito alle promesse dei marinai. Per questo il papa ha auspicato che gli Stati, invece di continuare ad armarsi fino ai denti l’uno contro l’altro, si convincano di una - e fondamentale - verità, e cioè «che il diritto all’alimentazione sarà garantito solo se ci preoccupiamo del suo soggetto reale, vale a dire la persona che patisce gli effetti della fame e della denutrizione».

Ma come, potrebbe dire qualcuno, non è forse alla persona che sono volte le attenzioni di ogni Stato che si voglia tale?

No, ha risposto in maniera gentile ma ferma l’oratore: oggi la priorità non ce l’ha la persona - e men che meno la persona povera e affamata: la priorità è del mercato, nel senso che in genere si pensa che si possa venire incontro ai bisogni dell’uomo solo se si accettano le leggi del mercato internazionale così come è organizzato attualmente. E questa priorità dipende a sua volta da un assioma ancor più fondamentale: che tutti hanno bisogno di guadagnare. L’attuale (e sbagliata) gerarchia di valori è dunque organizzata così, per papa Francesco: prima di tutto si pensa a come guadagnare. Poi, perché qualcuno possa guadagnare si organizzano i mercati, ossia lo scambio globale di merci. Pensiero finale: la circolazione di queste merci - fra le quali le derrate alimentari - dovrebbe permettere a ciascuno di acquisirle e, di conseguenza, di nutrirsi.

Ma anche ammesso che questa teoria funzioni (e se siamo a questo punto è certo che non funziona), resta il fatto che «l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, chiede di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina». L’assemblea applaude, hanno notato i cronisti presenti. Urge dunque un rovesciamento di prospettiva. Che potrebbe essere descritto così.

Punto primo: Quanta gente affamata c’è in giro? (centralità della persona). Secondo: come facciamo a dar da mangiare a tutti? (problema prima produttivo e poi logistico). Terzo: quelli che producono il cibo e lo fanno girare fino a portarlo a destinazione, come possono a loro volta sopravvivere in maniera decente? (produzione e mercato sono al terzo posto nella definizione della strategia, non al primo).

Da qui il passaggio fondamentale dell’intervento: «Pertanto, i piani di sviluppo e il lavoro delle organizzazioni internazionali dovrebbero tener conto del desiderio, tanto frequente tra la gente comune, di vedere in ogni circostanza rispettati i diritti fondamentali della persona umana e, nel nostro caso, della persona che ha fame. Quando questo accadrà, anche gli interventi umanitari, le operazioni urgenti di aiuto e di sviluppo – quello vero, integrale – avranno maggiore impulso e daranno i frutti desiderati». Non fa una grinza. La FAO potrebbe dare impulso a questo tipo di sviluppo se si preoccupasse prima di sfamare la gente che delle richieste del proprio personale. Ma questo il papa non l’ha detto.

Dato però che lo stesso papa tutto è meno che ingenuo, ha cominciato a sottrarre al problema della fame - che potrebbe apparire come una montagna insuperabile - una fetta di un certo rilievo: quella che viene sintetizzata nella formula popolare: «Siamo troppi, non ce n’è per tutti».

Non è vero, ha ricordato papa Francesco, richiamandosi a quanto già «il Santo Papa Giovanni Paolo II, nell’inaugurazione, in questa sala, della Prima Conferenza sulla Nutrizione, nel 1992», chiamò il «“paradosso dell’abbondanza”: c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo “paradosso” continua a essere attuale».

Francesco non si è espresso nel modo che useremo noi tra poco, ma sostanzialmente ha detto che le cifre che vengono sfornate continuamente per coprire questo dato di fatto sono semplicemente truccate. Ha usato parole più gentili: «Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica. Questa è la prima sfida che bisogna superare». Ora, quando uno allude al fatto che perfino la crisi economica è sbandierata per mantenere il privilegio del mercato sulla fame, si esprime certo in maniera cortese, ma la sostanza del discorso resta pesante.

E siccome “mercato” significa concorrenza (con buona pace degli equosolidalisti), è ovvio che la solidarietà finisca in ultima fila.

È ben vero - ha proseguito papa Francesco - che «Gli esseri umani, nella misura in cui prendono coscienza di essere parte responsabile del disegno della creazione, diventano capaci di rispettarsi reciprocamente, invece di combattere tra loro, danneggiando e impoverendo il pianeta». Ma non è men vero che una simile presa di coscienza potrebbe accadere anche dopo che gli attuali affamati siano già morti di fame da un pezzo. Ciò non significa che non si debba dedicarsi anima e corpo a favorirla dove si può, perché solo «In tal modo, l’obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa realizzabile».

Un piano simile «richiede perseveranza e sostegno». La Chiesa cattolica è pronta ad offrire anche in questo campo il proprio contributo ed è noto a tutti che «su questa stessa linea si muove il coinvolgimento attivo della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali e con i suoi molteplici documenti e dichiarazioni».

Ma più ancora è nota la sua - della Chiesa, cioè dei cristiani - effettiva vicinanza «alla realtà di chi soffre la fame», il suo muoversi perché tutti sentano come proprio «l’obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo».

Non si tratta di un obbligo morale astratto. Il papa lo ha voluto siglare ricordando la frase di un anziano ascoltata «molti anni fa: “Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai!»

Custodire la terra è dunque un obbligo morale nel senso che ne va della vita di ciascuno. “La madre terra”, come l’ha chiamata il papa “francescano” è dunque piuttosto vendicativa, come la matrigna di Biancaneve. Condensato in uno slogan anti-elemosinistico il concetto che ha retto l'intera argomentazione potrebbe dunque avere la forma della risposta alla seguente domanda: "Perché è un imperativo morale dar da mangiare agli affamati?" Risposta: «(è necessario) dare da mangiare agli affamati per salvare la vita nel pianeta. Grazie».

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