«Non serve chiudere la scuola, quando il problema, si sa, è il trasporto»
Cgil: «Il trasporto pubblico locale fa capo alla Regione. Ignorata la nostra proposta di ricorrere ai bus dell'autonoleggio per evitare assembramenti»
Con l’ordinanza regionale, che impone le lezioni a distanza per le scuole superiori a partire da lunedì 26 ottobre, si è elevato un coro di no. Il problema verte non tanto sul tema della scuola, dove sono stati profusi tutti gli sforzi per contenere il contagio, quanto del trasporto, che è risultato insufficiente e quindi non in grado di evitare assembramenti per il sovraffollamento e il mancato rispetto della capienza all’80% sui mezzi. Finora nessun autista di pullman è risultato positivo al virus, dicono dalla Cgil, che aggiunge qualche riflessione al dibattito. Marco Sala della Filt di Bergamo, dice: «Siamo contrari alla decisione adottata dal Presidente Fontana perché così la Regione - a cui, tra l’altro, fa capo il trasporto pubblico locale - non fa altro che arrendersi e scaricare le proprie responsabilità sugli studenti. La politica dovrebbe fare il contrario, cioè gestire le situazioni. Sappiamo che il tema vero è il trasporto pubblico: sembrava accolta la proposta dell’utilizzo dei bus dell’autonoleggio, ma l’ipotesi qui non è stata nemmeno stata percorsa. Tra l’altro, la decisione prelude a una pioggia di richieste di rimborso di abbonamenti, come accaduto durante il lockdown. Questo metterà ancora più in ginocchio le aziende del Tpl. Sarebbe invece servita una pianificazione migliore: nel mese passato dall’inizio delle lezioni, non abbiamo registrato nessun contagio tra gli autisti dei bus in Bergamasca. Questo dimostra che il rispetto delle distanze (sui pullman c’è ancora la catenella che crea ampio spazio tra passeggeri e autisti) funziona. Si doveva ridurre al 50% la capienza possibile. È ovvio che con l’80% - come a inizio settembre avevamo denunciato- i contagi si moltiplicano. Per i ragazzi chiudiamo scuole e, in previsione, associazioni sportive e palestre: troveranno luoghi informali (e non controllabili dal punto di vista sanitario) per incontrarsi».
E anche Elena Bernardini della Flc-Cgil aggiunge: «È amaro constatare che a tre giorni da un Dpcm nazionale che riconosce la necessità di fare istruzione in presenza, la scuola sia invece interessata da un’ordinanza regionale che impone la didattica a distanza indiscriminatamente a tutti gli istituti del territorio, tra l’altro senza l’accordo di tutti i sindaci. In questo confuso intreccio di diverse competenze amministrative, all’autonomia delle scuole non viene lasciata alcuna voce in capitolo. E invece è ormai opinione condivisa che la didattica da remoto debba essere l’ultima spiaggia, utile durante un lockdown, non quando il resto della società è ancora in (quasi) piena attività. Lo abbiamo ripetuto più volte: non è all’interno della scuola che troviamo la fonte di rischio, ma nei percorsi per raggiungerla. Adottare un provvedimento così pesante e generalizzato sicuramente è la via più semplice, che aggira il problema dell’affollamento dei trasporti. Confinare gli studenti a casa, però, soprattutto quando la scuola si è rivelata un presidio sicuro, vuol dire non considerare che le occasioni di contagio si potrebbero moltiplicare al di fuori. Anziché controllare la pandemia, si condannano i ragazzi a improvvisare -i n giro per le città e nei piccoli centri - occasioni di incontro (e assembramento). Inoltre, si buttano a mare accordi e soluzioni che con grande sforzo in alcune aree del territorio lombardo, come da noi, si erano adottate: a Bergamo esistevano i doppi turni in ingresso e uscita. Troppo pochi, avevamo detto. Ma occorreva moltiplicare quelli, non mandare tutti a casa».