I ristoranti "senza cena"

Angelo Agnelli: «Colpire la cucina italiana è mettere in ginocchio mezzo Paese»

Amministratore delegato della Pentole Baldassare Agnelli e titolare del Bolle Restaurant: «Sarà uno sterminio di partite Iva nella ristorazione»

Angelo Agnelli: «Colpire la cucina italiana è mettere in ginocchio mezzo Paese»
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di Andrea Rossetti

«Veggente? Ma va (ride, ndr). La verità è che si capiva già dove volevano andare a parare...». Angelo Agnelli vive il mondo della ristorazione praticamente da quando è nato. Amministratore delegato della Pentole Baldassare Agnelli, da un anno e mezzo circa è anche titolare di un ristorante, il Bolle Restaurant, situato proprio nel quartier generale dell’azienda di famiglia a Lallio. Per questo quando il 21 ottobre, sul suo profilo Facebook, scrisse che il coprifuoco imposto da Regione dalle 23 alle 5 avrebbe determinato «uno sterminio di partite Iva nella ristorazione» pochi hanno pensato a un’esagerazione. «E infatti non esageravo - commenta Agnelli -. Non parlavo tanto dell’obbligo di chiusura alle 23 in sé e per sé, ma dell’aria che si percepiva attorno al mondo della ristorazione: era chiaro che avrebbero colpito noi. Tant’è che poi è arrivato il Dpcm pochi giorni dopo: chiusura alle 18 e tanti saluti».

Insomma, dire che Agnelli abbia vestito i panni della Cassandra sarebbe sbagliato, oltre che ingiusto verso la sua storia professionale. «La ristorazione è il mio mondo. Sono un fornitore, ma anche uno di loro. Ho visto l’attenzione con cui, in primavera, si sono preparati a riaprire e gli investimenti che hanno fatto in questi mesi per fare in modo che i ristoranti fossero dei posti sicuri. E lo sono davvero. Molti hanno previsto misure ancor più stringenti rispetto a quelle che il Governo aveva imposto, distanze maggiori tra i tavoli, precauzioni ulteriori. Ma è stato tutto inutile, hanno deciso di scaricare su di loro, su di noi, la responsabilità di quanto sta accadendo».

Agnelli sa fare di conto e non si fa problemi a ripetere che la chiusura alla 18 significa, di fatto, portare al fallimento tantissimi ristoranti: «Non lavorare a cena significa perdere mediamente il settanta per cento del fatturato. E questo in una condizione normale. Se si valuta che adesso con i soli pranzi sei già in deficit... Lo smart working ha tagliato tutta una fetta di clientela a mezzogiorno, inutile girarci intorno. Restavano giusto le cene. E le cose stavano iniziando a tornare su buoni livelli proprio in questo periodo. La decisione del Governo mette in ginocchio un intero settore, un intero mondo». Però gli aiuti saranno immediati, dicono da Roma. «Bah, vedremo. Io so solo che tanti ristoratori non possono neppure accedere alla casa integrazione perché le norme sono scritte coi piedi. Io tra questi: quando abbiamo riaperto il ristorante, a giugno, ho dovuto cambiare parte della brigata e avendo chiesto la cassa per i precedenti dipendenti, ora ho le mani legate. Ci sono delle lacune normative assurde».

Agnelli, però, osserva la situazione anche dal punto di vista del fornitore e non solo del ristoratore. «Colpire la ristorazione significa colpire anche chi lavora dietro le quinte di quel mondo: agricoltori, allevatori, aziende come la nostra. Per anni sono andati in giro a dire che la cucina italiana è un’eccellenza, che bisognava valorizzarla. Ed è vero, fa parte della nostra cultura. La nostra cucina è arte, ne sono convinto. Però poi non si fanno problemi a colpirla, a mettere in ginocchio lei e l’intera filiera produttiva che ci sta dietro. Ma davvero credono che il problema del coronavirus siano i ristoranti? Ma dove vivono? Facile dire a noi di chiudere quando loro non hanno fatto niente di niente per organizzare come si deve il sistema del trasporto pubblico, ad esempio».

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