Test antigenici rapidi, i medici di famiglia vanno protetti
L'Ordine regionale dei medici scrive a Regione Lombardia per chiedere adeguati presidi dove svolgere in sicurezza le attività dei tamponi, coinvolgendo infermieri di comunità e Protezione civile.
Sui test antigenici rapidi, la Federazione regionale degli Ordini dei medici ha indirizzato a Regione Lombardia un documento contente indicazioni indispensabili per la tutela del lavoro dei medici di famiglia e l'invito a offrire strumenti efficaci, utili alla prevenzione del territorio. Il documento sottolinea il disagio che attraversano i medici di famiglia in questo periodo. «Oltre alla carenza di professionisti, aggravatasi negli ultimi mesi a seguito dei pensionamenti, a causa della mancanza di medici formati e della difficoltà persino a reperire sostituti temporanei privi di formazione post laurea, la categoria sconta la carenza di personale amministrativo e di infermieri». Una situazione che sta diventando difficile, a cui si «sovrappone il carico dei pazienti affetti da patologie croniche, che non riescono più a programmare i follow up nelle strutture ospedaliere, e la confusione derivante dal complesso sistema di richiesta dei tamponi e di restituzione degli esiti e di segnalazione di casi e contatti, con le relative difficoltà di funzionamento dei sistemi informatici di Regione».
In aggiunta si consideri anche l’impegno nella campagna vaccinale, «la cui logistica e programmazione vengono messi in crisi dagli intollerabili ritardi nelle forniture di vaccini da parte della Regione». Non proprio una fotografia rassicurante, quella descritta dai presidenti provinciali dell’Ordine dei medici in Lombardia. Nonostante ciò i medici di famiglia hanno dato la loro disponibilità ad effettuare i test antigenici rapidi, una manovra alquanto rischiosa e che deve essere fatta in tutta sicurezza, che richiede dispositivi di protezione, distanziamento e sanificazione. Non tutti gli studi medici sono idonei a questo tipo di attività. Per questo la Federazione dei medici chiede a Regione Lombardia che «metta a disposizione strutture esterne agli studi medici, dove i medici di famiglia possano collaborare con gli infermieri di comunità, con personale amministrativo e con la protezione civile, per gestire un flusso adeguato di persone, selezionando in modo chiaro quali cittadini debbano afferire al servizio». Con la necessità di «coinvolgere non solo i medici di famiglia, ma anche i medici della continuità assistenziale e tutta l’area delle cure primarie, nel rispetto delle diverse realtà professionali e proteggendo così anche i colleghi in condizioni di maggior rischio per età e condizioni di salute».