Il Restauratore in via Pignolo Una bottega senza tempo
Una bottega antica, così perfetta nella sua imperfezione da parere quasi una scenografia teatrale. Una piccola strada in salita, gli alti palazzi della via uno dirimpetto all'altro. Poi, d'improvviso, in via Pignolo, al numero 99, una piccola luce che attira l'attenzione.
È il negozio di un restauratore: una ventina di metri quadri con il soffitto basso, un pavimento usurato dal tempo e due stanze, divise da un'arcata. Nella prima ci sono mobili di legno massiccio, quadri e alcune cornici argentate. Nella seconda stanza, invece, sono disposti in fila gli strumenti che il restauratore utilizza per il proprio lavoro. Pialle di fine Ottocento, realizzate completamente a mano, un'antica squadra di legno, martelli, scalpelli e alcuni cassettini di plastica, l'uno incastrato sull'altro, pieni di piccoli chiodi. Tutto qui ha un'età che va oltre quella di Marco Bono, titolare e restauratore.
Capelli grigi riccioluti e un paio d'occhiali da vista indossati su uno sguardo deciso e consapevole, Marco è figlio d'arte. Prima suo nonno e poi il padre, hanno infatti dato vita alla bottega del Restauro, un luogo senza tempo, dove l'aria profuma di trementina e ogni oggetto ha una lunga storia. «Anni fa, le pialle, come i righelli di legno e le squadre realizzate a mano erano il primo segno di ciò che sapevi fare – spiega il restauratore –. Al cliente infatti dovevi mostrare la tua abilità, partendo dalla costruzione degli attrezzi per il lavoro».
Alle sue spalle, come una scenografia che ricorda le bottega della Bergamo più bella e nostalgica, stanno file di cacciaviti con il manico di legno, forbici di diverse misure, un'imponente scranno da restaurare, e un listello di legno con le braccia lunghe, che sorregge alcuni martelli dalla testa invecchiata. «A volte capita che si affaccino alcuni turisti, che entrano con occhi sgranati per immergersi in una storia – continua Marco, con il piglio di un uomo sicuro di sé –. Entrano con lo sguardo pieno di stupore, con un atteggiamento timoroso, come fosse un luogo sacro. Mi chiedono di vendergli qualche pialla, di questo che per loro è quasi un museo. Ma io non cedo mai, non do nulla nemmeno dietro compenso. Perché questa è la mia storia familiare ed ogni cosa qui mi parla dei miei cari. Non venderei mai qualcosa che è appartenuto a loro, perché rappresentano le mie radici».
Per lui, che ha fatto dell'artigianato uno stile di vita, fondamentale è stata la figura del padre, un uomo concreto e molto attento ai passi del figlio, osservato a distanza. «Mi ha insegnato a contare sulle mie sole forze, responsabilizzandomi fin da ragazzo – racconta ancora il restauratore – così, quando ha capito che ero pronto per intraprendere la mia attività, mi ha fatto aprire partita Iva». Oggi Marco Bono è uno stimato professionista, appassionato del suo lavoro. Non vorrebbe far altro, perché l'amore per il restauro è un'esperienza che gli ha segnato gioiosamente la vita.
Quando poi arrivano i momenti di stanchezza, Marco sale in sella alla sua moto e va a respirare un po' d'aria fresca. «Per forza – conclude – altrimenti non puoi essere creativo. È necessario stare bene con se stessi, se si vuol fare qualcosa di bello. E la bellezza è la caratteristica del mio lavoro e di tutti i lavori d'artigianato puro». Un appagamento interiore che gratifica, al di là dell'aspetto economico. Una soddisfazione così onesta da dare un risultato impagabile. «Avere passione per ciò che si fa – conclude l'artigiano – ti fa stare bene. Ecco perché quelli come me non si ammalano quasi mai!».