Scuole: sì alla didattica in presenza per i figli dei «lavoratori indispensabili», ma quali sono?
Gli istituti sono chiamati a fare frequentare, in seguito a richiesta, gli studenti con bisogni educativi speciali, ma anche i figli di genitori che sono operatori sanitari impiegati nella pandemia e i figli di lavoratori in «servizi pubblici essenziali». Ma non è chiara la definizione di questa categoria
La decisione di Regione Lombardia di chiudere, a partire da oggi, tutte le scuole di ogni ordine e grado (a esclusione degli asili nido) attraverso l'imposizione della zona arancione rafforzata ha, ovviamente, creato molte polemiche. Soprattutto tra i genitori, che da un giorno all'altro si sono dovuti organizzare con le proprie attività, dato che, a differenza di un anno fa, questa volta non ci troviamo tutti a casa sottoposti a un duro lockdown.
«Scuola in presenza per i figli dei lavoratori indispensabili»
Per cercare di fare chiarezza sulla situazione, è intervenuto l’Ufficio scolastico regionale per la Lombardia con una nota a firma del direttore generale Augusto Celada, che sottolinea come «vada garantita la frequenza scolastica in presenza degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione».
La conferma del Ministero
Questa nota richiama a sua volta una circolare del Ministero dell'Istruzione, a firma del capo di dipartimento Marco Bruschi, nella quale si riprende il nuovo Dpcm, firmato il 2 marzo, nel quale si esprime la necessità di chiudere le scuole nelle zone a più alto rischio di contagio. E qui si conferma la possibilità della didattica in presenza per i figli dei «lavoratori indispensabili», come indicati nella nota 1990/2020, che chiarisce:
«Nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste, attenzione dovrà essere posta agli alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…), direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali, in modo che anche per loro possano essere attivate, anche in ragione dell’età anagrafica, tutte le misure finalizzate alla frequenza della scuola in presenza. Dovrà essere garantito comunque il collegamento on line con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata».
Questione ulteriormente confermata anche da una nota dell’Ats Bergamo firmata dal direttore generale Massimo Giupponi, che ricorda come la stessa possibilità sia accordata ai bambini e agli studenti disabili con bisogni educativi speciali.
Quali sono «servizi pubblici essenziali»?
In altre parole, le scuole sono chiuse ma possono continuare a essere frequentate in presenza dai cosiddetti "Bes" (studenti con bisogni educativi speciali) e figli di personale sanitario impiegato nel contenimento della pandemia o di personale impiegato in servizi pubblici essenziali. Il primo punto da chiarire è che entrambi i genitori, stando alle precedenti interpretazioni di queste norme, debbono essere impiegati in questo tipo di professioni. Il secondo punto, decisamente meno chiaro, è: quali sono i «servizi pubblici essenziali»? Se si considerassero a questa stregua tutte le attività a cui è concesso restare aperte anche in zona rossa, be', la lista sarebbe veramente lunga. Ci sono le farmacie, ma anche i supermercati ovviamente, così come i tabaccai o addirittura le ferramenta.
Le scuole, in queste ore, stanno ricevendo tantissime richieste di genitori che chiedono di poter portare i bambini a scuola e gli istituti sono in oggettiva difficoltà. Anche perché gli stessi docenti hanno spesso figli: la loro attività non è, dunque, ritenuto un servizio pubblico essenziale? Urge quanto prima una delucidazione di questo passaggio della norma, onde evitare che la situazione diventi ancora più complicata di quanto già non sia.