Dieci paragoni bergamaschi direttamente dal mondo animale
Umberto Zanetti, scrittore, saggista e poeta in lingua bergamasca, ci ha inviato un elenco di divertenti “paragoni spontanei” ispirati alla fauna. Eccone una selezione, con l'aggiunta delle nostre descrizioni. Come commenta Zanetti, i nostri vecchi sapevano “leggere nel grande libro del creato”. Queste similitudini, naturali per definizione, forse possono insegnare qualcosa anche a noi, abituati a leggere nei piccoli schermi della tecnologia.
1) Cargàt come ün àsen
Normale assetto di marcia di ogni contadino, in grado di trasportare almeno il doppio del proprio peso corporeo in fascine, fieno e attrezzi agricoli. Tornata in auge in tempi moderni per la spesa settimanale al supermercato, l'espressione è di nuovo caduta in disuso. Chi lo riempie più il carrello della spesa?
2) Uriginàl come öna aca
Chi pensa che la mucca sia l'essere meno originale e più prevedibile del mondo, non ha mai conosciuto una vacca alpina bergamasca. Con la sua attitudine da free climber e una testardaggine inequivocabilmente orobica, è dotata di un carattere unico che dà più sapore ai nostri formaggi d'alpeggio.
3) Ingùrd come ü sat
Se tra i vizi capitali tra i bergamaschi il più condannato è senza dubbio l'accidia (òia de fa negót), anche la gola non scherza. In questo caso ne fa le spese il rospo, sinonimo d'ingordigia anche nell'accrescitivo “satù”. Come compensazione, la romantica e discutibile definizione di “canarì de fòss”.
4) Ignorant come öna böba
Cos'abbia fatto di male al genere umano l'upupa non si sa. Scambiata per uccello notturno di malaugurio, impura per la Bibbia e “calunniata dai poeti”, per i bergamaschi è la stupidità fatta uccello. Si sospetta che tale acrimonia sia dovuta alla sua totale improduttività.
5) Svèlt come öna légor
Espressione coniata con ogni probabilità da un cacciatore frustrato, esprime ammirazione per chi è in grado di imitare la rapidità di movimento della lepre. Da citare l'efficace espressione “ghe passa la légor e 'l cassadùr”, a indicare le gambe eccessivamente arcuate, solitamente di una donna.
6) Grass come ü capù
La fame atavica dei bergamaschi, spesso costretti a vivere negli stenti, ha radicato nella loro cultura una malcelata avversione per chi eccede nell'alimentazione. Sottile la vendetta che in questo paragone evoca, e quasi augura, la crudele evirazione subita dal gallo per diventar cappone.
7) Fastidiüs come öna mosca
Basta frequentare la campagna d'estate per capire quanto siano presenti e invadenti le mosche, anche nella versione ipertrofica e dolorosa dei taà (tafani). Siccome l'invadenza è uno dei difetti più invisi al riservato bergamasco, si capisce quanto sia inopportuno tediarlo con una presenza continua e appiccicosa.
8) Infiamàt come ü pulì
Anomala e accesa colorazione rossa del viso, riscontrabile dopo una raccolta di fieno con temporale in arrivo, un'incauta uscita di settebello a scopa, una libagione (ciòca) affrontata con serena determinazione. A chi ha dimenticato aie e pollai, ricordiamo che il pulì è il tacchino, dai cui bargigli nasce il paragone.
9) Nìgher come ü scorbàcc
Si tratta di colore nero intenso, come il piumaggio di un corvo, qui nella versione linguisticamente peggiorativa del più neutro “cròv”. Adatto a rappresentare il colore degli occhi e dei capelli, poteva anche indicare il colore della pelle, in tempi in cui la correttezza era negli animi più che nelle parole.
10) Ciòch come öna sèpa
Brillante spiegazione dello stato di estrema ubriachezza, confronta la capacità del bevitore di aspirare il liquido con quella di una seppia. Probabilmente con lo stesso meccanismo di espulsione. Analoga similitudine, ma di altra natura, è “sténch come öna boröla” dove il grado di cottura alcolica equivale a quello della gustosa caldarrosta.