Diario di un papà alle prese con la famigerata Dad: «Io speriamo che me la cavo»
di Franco Longhi
«Papino, si è staccata la connessione...». Mio figlio mi guarda con gli occhioni lucidi e sgranati, manco fosse crollato il Duomo di Milano. Per lui, che va in seconda elementare, quella lezione di matematica è davvero questione di vita. Non ne perderebbe nemmeno un secondo.
Lo rassicuro: «Tranquillo, un attimo e la rimettiamo a posto». Mollo l’articolo che sto scrivendo (mi perdoni direttore). Clicca qui, apri là, compare la finestra di Google Meet. Acchiappo il link e (ri)chiedo di partecipare alla lezione. La maestra, con infinita pazienza, ci riammette. Sospiro di sollievo.
Una voce metallica gracchia attraverso gli altoparlanti: «Bambini avete fatto il calcolo? Quanto fa due per tre?». «Sei», suggerisco io. Mio figlio mi incenerisce con lo sguardo. Aveva appena alzato la mano in videocamera e persino premuto l’icona della manina per intervenire. Gli ho rotto le uova nel paniere, ferendo il suo orgoglio di scolaro “modello”. Padre degenere. Mi ritiro in un’altra stanza, per non disturbarlo.
Di nascosto, guardo il mio piccolo che smanetta fra cavi, microfoni, videocamere, tablet, biro, matite a quaderni e mi dico che questi nativi digitali hanno davvero una marcia in più, rispetto alla mia generazione. Eppure il dannato coronavirus sta rubando loro la parte migliore della vita. Quella dove tutto è novità, emozione, gioia di vivere, anche se là fuori sono passati camion militari che non dimenticheranno mai.
Non li ho scordati nemmeno io che, come avrete capito, sono uno dei tanti padri alla prese con la didattica a distanza. La famigerata Dad che, per inciso, in inglese significa “papà”, ma è tutt'altro che un’esclusiva maschile. Ci è capitata sulla testa dalla sera alla mattina, un venerdì di inizio marzo.
Ricordo ancora l’espressione di mia moglie: ora che facciamo? Ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso: mezza giornata a testa con i bambini, comprimendo gli spazi dei rispettivi lavori. Un bel sacrificio. Economico e non solo. Ma ringrazio il Cielo che sia andata così, perché pochi giorni dopo il blocco, la scuola ci ha avvisati che il coronavirus, versione sua Maestà britannica, ha colpito anche la nostra classe. Sfiorati, per miracolo. (...)