Chiusi fino a luglio, la rabbia dei parchi: «Ci sentiamo offesi, pronti ad azioni eclatanti»
Il comparto, che in Italia conta 230 imprese e 50 mila occupati (tra diretti e indotto), esprime profondo sconcerto nel vedere le nuove regole del Governo. Le parole di Giuseppe Ira, numero uno di Leolandia
Sconcerto e delusione. Sono i due sentimenti che serpeggiano tra i gestori dei parchi di divertimento italiani, all’indomani dell’approvazione del cosiddetto decreto “riaperture” da parte del Consiglio dei Ministri. Secondo il documento, infatti, i parchi a tema Centri termali, parchi tematici, quelli di divertimento e i centri termali potranno aprire solo nelle zone gialle dal 1 luglio, mentre altre attività, anche al chiuso, ripartiranno ben prima di questa data.
«Siamo offesi per il programma delle riaperture – sottolinea Giuseppe Ira, presidente di Leolandia e dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani – i parchi, che svolgono la propria attività all’aperto, sono ritenuti pericolosi al pari delle sale giochi e delle fiere, che invece si svolgono al chiuso».
Il comparto conta 230 imprese in Italia e occupa 50 mila persone (tra diretti e indotto). «Dovremmo aprire dopo i cinema, teatri e anche un mese dopo l’apertura dei ristoranti al chiuso. Francamente questo ci offende perché vogliamo essere equiparate a queste categorie. Ricordiamo al Ministro Roberto Speranza e al Cts che gli altri Paesi si sono comportati in modo diverso: negli USA i parchi hanno riaperto a febbraio, all’inizio della campagna vaccinale e in Gran Bretagna dopo un lungo lockdown per prima cosa hanno aperto i pub all’aperto e i parchi di divertimento».
I titolari delle strutture si aspettano quindi un cambio di rotta dall’esecutivo, altrimenti, promettono, «non staremo con le mani in mano. Abbiamo sempre mantenuto un profilo dialogante e collaborativo, ma evidentemente non è servito a nulla: le categorie che hanno urlato scompostamente hanno ottenuto più attenzione e parziali risposte».
Tra i primi settori ad essere stati colpiti dalle chiusure, infatti, le aziende del comparto hanno registrato in media una perdita dell’80 per cento; così facendo, dicono le società, il Governo «condanna molti parchi all’impossibilità di aprire. Questa perdurante incertezza porterà ad una fortissima contrazione degli occupati, la nostra forza lavoro non ce la fa più».
Nel 2020, nonostante la riapertura a fine maggio, il 20% dei parchi ha rinunciato ad aprire nuovamente le porte ai visitatori e si sono persi 10 mila posti di lavoro stagionali. Inoltre, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, nonostante gli importanti costi fissi legati al mantenimento delle strutture, degli animali e del verde, e gli alti livelli occupazionali garantiti, i parchi non sono stati presi in considerazione in almeno quattro provvedimenti legati ai ristori.
Prima perché il raffronto tra il mese di aprile 2019 e il mese di aprile 2020 non dava scostamenti significativi, in quanto molti parchi in aprile non sono operativi; poi perché è stato limitato l’accesso al credito alle imprese con più di 5 e 10 milioni di fatturato. Non facendo parte del Turismo, inoltre, i parchi non hanno potuto accedere alle agevolazioni fiscali concesse alle imprese del comparto, come l’esenzione Imu.