Pensiamo di conoscerli, non è così

Gli angeli sopra Betlemme

Gli angeli sopra Betlemme
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Gli angeli, dicevamo. Per noi è facile: si prende la statuina dalla scatola in cui è riposta, si sta attenti a non rompere le ali e la tromba, che sono fragilissime, ed è fatta: gli angeli. C’è chi li appoggia sulla capanna, chi li appende a un filo. Nel presepio di Greccio, lo abbiamo detto nella puntata iniziale, non c’erano; come non c’era nessuna delle figure di contorno. C’era solo il Bambino, come - a parer nostro - sarebbe giusto. Ma ciascuno può pensarla come vuole, a questo proposito: siamo in democrazia.

Nella scena originaria, invece, sono presenti i pastori (con le loro greggi) e gli angeli: prima uno solo, che li avvolge di luce e dà loro le indicazioni su come trovare il neonato a Betlemme. Poi, terminato il discorso, «una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”». E questo, con buona pace di tutti, è un punto davvero molto complicato.

Perché bisognerebbe spiegare cosa vuol dire “Gloria a Dio”; cosa si intende per “più alto dei cieli” e infine come mai, negli ultimi anni, sono state proposte più versioni di quello che un tempo si scriveva “hominibus bonae voluntatis” (agli uomini di buona volontà), una formula latina che in effetti qualche confusione la crea. Gli uomini “di buona volontà” di cui parlano gli angeli non sono infatti né “gli uomini volonterosi” né quelli che ci mettono tutta la loro buona volontà a cercar di andar d’accordo con gli altri. L’ebraico - la lingua in cui probabilmente era scritto il testo del canto di quella notte - ha una forma molto sintetica per dire “quelli nei confronti dei quali la volontà di qualcuno - in questo caso Dio - è ben disposta”. L'Italiano non ha quella forma per cui dobbiamo scrivere che gli angeli annunciarono che gli uomini che Iddio andava cercando per far pace avrebbero finalmente avuto la pace che anch’essi attendevano da secoli. Che era finita, dunque, l’epoca dell’inimicizia apertasi con la cacciata dei progenitori dall’Eden. E fin qui, ci siamo.

Il problema vero sono gli angeli. Perché noi - ripeto - li prendiamo dalla scatola, o li abbiamo visti in tantissimi quadri o affreschi più o meno famosi o popolari e persino - quelli di Raffaello a Dresda - sulle scatole di cioccolatini o nei negozi per adolescenti; ne abbiamo visti anche al cinema muoversi nel cielo sopra Berlino. E con questo pensiamo di conoscerli. Ma non è così. Gli angeli - ci perdonino gli interessati - sono come le orchidee o le piante grasse, che dopo poco che si comincia ad occuparsene si ha l’impressione che non si finirà mai di scoprire quante specie ce ne sono. Se vogliamo tener conto delle ali, pensiamo alle specie di farfalle: sono un’infinità. Ci sono angeli àccadi, assiri, babilonesi, ebraici di un periodo o dell’altro, con quattro gambe o con due, con ali (solo due o tante) e senza. Quali erano quelli che si presentarono ai pastori dei dintorni di Betlemme?

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A nostro avviso erano della famiglia di quello che ha trovato un sacerdote di lingua tedesca studioso di accadico, assiro e altre tradizioni mespotamiche: lui lo ritiene il primo in ordine di tempo fra quelli appartenenti alla tradizione ebraica. La storia che lo vede protagonista narra di Dio - il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe - che, volendo mandare sulla terra suo figlio, spedisce questo angelo in ricognizione per informarsi circa il momento del tempo che gli uomini avrebbero avuto a disposizione per accoglierlo nel modo migliore.

La cosa sarebbe dovuta avvenire al tempo in cui gli Ebrei si trovavano deportati a Babilonia (VII -VI secolo a.C.). Questo angelo scende, gira le città in lungo e in largo, e se ne torna su un po’ sconsolato di dover riferire che - per quanto aveva potuto osservare - gli uomini non hanno mai un tempo del tipo richiesto, perché non hanno mai un vero presente o non sono mai presenti a quello che fanno. Distruggono l’istante - tutti gli istanti della loro vita - ricordando o rimpiangendo il passato, oppure sognando un futuro che spesso non arriva. Per questo, pensiamo, Dio dovette rimandare di parecchi anni l’invio del suo bambino.

Se questa storia è vera - e noi pensiamo che lo sia - la notte di Betlemme fu dunque il primo momento del tempo in cui - almeno Maria, Giuseppe e i pastori - furono soltanto presenti a ciò che stava accadendo loro. Furono in pace, come si dice, con se stessi e col mondo. Le parole degli angeli non esprimono dunque un augurio, un auspicio: descrivono un dato di fatto. Si capisce così anche chi fossero tutti quegli angeli che spuntarono fuori a cantare una volta che il primo ebbe finito il suo discorso: erano tutti quelli che erano stati mandati sulla terra per vedere come andava col tempo, e se ne erano tornati su con la stessa risposta del primo.

E dunque, finalmente, questa notte, anche il Signore, nella sua casa, poteva sentirsi felice. Dopo anni e anni di delusione e di rimandi, finalmente il tempo, il suo tempo solamente presente, era tornato sulla terra. Per questo i pastori poterono dire: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". Era venuto il tempo.

Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. E tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Aggiungiamo: e forse anche del fatto che fossero proprio loro a dirle. Ma il mondo va così: di sorpresa in sorpresa, per coloro cui il Signore pensa ogni giorno. Per quelli, cioè, che hanno anche solo un momento per Lui.

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