Nel cuore di Bergamo

Ventitré scope e ventitré spazzettoni: così don Nicola ha fatto rinascere l'oratorio dell'Immacolata

Il centro giovanile era dato per spacciato, ma in tre anni è stato rimesso in moto, teatro e casa vacanza di Bratto compresi. L'alleanza con la città

Ventitré scope e ventitré spazzettoni: così don Nicola ha fatto rinascere l'oratorio dell'Immacolata
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di Paolo Aresi

«Mi avevano detto che l’oratorio dell’Immacolata era finito, morto. Io ero stato mandato qua e allora mi sono detto: proviamo a vedere. Ho visitato tutto, poi sono andato nello sgabuzzino e ho trovato una scopa e uno spazzettone. Ho pensato che significava che l’oratorio lo puliva soltanto la signora boliviana incaricata. No, non andava bene, se l’oratorio è di tutti, tutti devono pulire. Ho comprato ventitré spazzettoni e ventitré scope e quando siamo andati a riaprire la nostra vecchia casa di Bratto, ormai in disuso, abbiamo ramazzato e sistemato tutto insieme ai ragazzi. Alla fine, stanchi morti, mi hanno ringraziato».

Don Nicola Brevi è il direttore dello storico oratorio dell’Immacolata, in via Greppi, tra via San Bernardino e via Moroni. È l’oratorio del borgo, della parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna. Oratorio glorioso, quello del teatro Greppi, del gruppo sportivo Nosari, del primo nucleo di scout Agesci...

Don Nicola, quanti anni ha?

«Sono nato il 10 agosto 1985 a Carvico».

Quando è entrato in seminario?

«Avevo ventuno anni, mi ero diplomato al Sarpi e poi avevo iniziato Giurisprudenza a Milano, alla Statale in via Festa del Perdono. Ogni giorno raggiungere Milano, uscire dal metrò e vedere il Duomo per me era una gioia. Troppo bello. Una volta alla settimana ci entravo a pregare un po’. No, non avevo in mente di fare il prete, anche se avevo fede, andavo a messa la domenica, facevo l’animatore al Cre e anche il volontario della Croce Rossa».

E quindi?

«E quindi volevo fare diritto internazionale perché mi è sempre piaciuto tanto viaggiare, conoscere mondi, gente diversa. Infatti ero andato a Colonia per la Giornata mondiale della gioventù... viaggiare mi affascina. Quando sono tornato da Colonia ho accettato di fare un incontro al mese con il gruppo Samuele, per approfondire la fede, per capire come potermi rendere utile. Ricordo che ne parlai con don Davide Pelucchi e però gli dissi chiaramente che io non avevo intenzione di fare il prete. Mi faceva molta paura questa cosa, come se volessi scappare via, perché evidentemente da un lato mi attraeva. Però ho affrontato con impegno gli incontri del gruppo Samuele e a giugno del 2006 ho chiesto di poter entrare in seminario. Però la laurea triennale in Giurisprudenza l’ho comunque presa».

Lei si trova nella parrocchia di Sant’Alessandro dal settembre 2018, da tre anni.

«È stata una fortuna per me venire qua, conoscere il parroco, don Gianni Carzaniga, è una persona che dà fiducia, che ti sprona ad agire. Prima ero a Sforzatica di Dalmine».

Però l’oratorio...

«Sì, mi avevano detto che non c’erano speranze. Mi ero rassegnato ad annunciare il Vangelo in via Venti Settembre, magari per strada. Però mi ero detto che prima dovevo provare. Ho organizzato la pizzata per le famiglie a novembre e sono arrivate duecento persone. Sono rimasto sorpreso. Come era possibile che avessero risposto così in tanti se l’oratorio era morto? Allora ho cominciato a darmi da fare. È nato il progetto “Ricostruiamo il cortile”. Un nome simbolico, ma il cortile c’è davvero, è quello piccolo, accanto al campo sportivo dell’oratorio. Era diventato un parcheggio. Adesso ci sono un campetto di calcio e uno di pallavolo. Ma non era questo il punto esatto: il tema era riprendere gli spazi, riempirli di umanità, di persone, di relazioni».

Il cortile lo avete ricostruito.

«Sì e nel gennaio scorso abbiamo varato un secondo progetto, semplicemente “Il Cortile”, con una serie di iniziative, anche se il Covid certo non aiutava».

Quindi?

«Abbiamo pensato prima di tutto al teatro Greppi, molto noto in città. Dovevamo adattarlo, metterlo a norma. Il teatro raccoglie tante dimensioni dell’uomo, secondo me può diventare una locomotiva per la comunità. Abbiamo venduto le trecento poltrone per finanziarci: in tre giorni sono andate tutte. Anche questo è un segno di attenzione, segno che la gente ci tiene. Questo del teatro è un progetto che ci impegna anche sul fronte finanziario, il costo è di 650 mila euro, ma temo che alla fine saranno di più. Ma è una fatica che ha un senso, al di là di tubazioni e fili elettrici, quindi bisogna affrontarla».

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Gli oratori appaiono in crisi un po’ ovunque.

«Ne ho parlato anche in Curia, abbiamo pensato che l’Immacolata poteva diventare un luogo dove rinnovare l’alleanza fra la Chiesa e Bergamo. L’Immacolata si presta per la sua storia, per la posizione ai margini del centro, per la sua realtà un po’ impolverata... Una grande tradizione poteva essere decisiva nel tentativo di creare una nuova prospettiva. Abbiamo chiesto aiuto anche a un esperto della comunicazione, Andrea Pernice. Abbiamo chiesto una mano pure al Comune, al sindaco, all’assessore Marcella Messina. L’idea vuole diventare un progetto pilota, un progetto educativo, qualcosa che, come dicevo prima, possa contribuire a creare un’alleanza rinnovata fra la chiesa e la città».

Lei non si occupa soltanto del suo cortile.

«Il cortile è un punto di educazione, di umanità, anche di spiritualità. Ma ci sono ragazzi che stanno fuori del cortile e allora mi piace andare in strada, cercare di parlarci. I ragazzi che dall’altra parte della strada sparano petardi per spaventare le persone, per esempio. Ci vado, cerco di parlare. Ci sono questi gruppi di ragazzi randagi, a volte sono trenta, quaranta. Allora è difficile creare un dialogo, qualche volta bisogna diventare repressivi, mi è capitato di chiamare la polizia. Per forza. Il cortile deve essere sicuro, per tutti».

Farete una piazzetta dalla parte di via Greppi verso via Palazzolo.

«Sì, facciamo un sagrato, un punto di accoglienza, un luogo che faccia capire da fuori che all’interno c’è qualcosa di nuovo».

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Che progetti avete in concreto?

«Dicevamo del recupero del teatro. Altri punti sono “Studiamo insieme” e “lavoriamo insieme” che con parole inglesi di moda potremmo dire “Co-studying” e “Co-working”. Ci siamo inventati i “Lavori pastoralmente utili” e abbiamo pure i “Cavalieri dell’Immacolata” che sono i ragazzi diciamo più assidui e motivati. Poi abbiamo il Progetto Bratto. Cento anni fa si apriva la casa-vacanze per i ragazzi dell’Immacolata... 1922. Che lungimiranza! Quella casa era quasi abbandonata e noi abbiamo deciso di rimetterla in funzione. Sono venuti con me tanti ragazzi, tutti armati di scopa e spazzettone, abbiamo ribaltato tutto».

Che bello.

«Una mamma mi ha detto: “Ha insegnato a mio figlio a pulire il bagno”». (...)

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