Omicidio di via Novelli, il 19enne dice di aver reagito per paura. I dubbi di chi indaga
Alessandro Patelli è in carcere con l'accusa di omicidio aggravato dai futili motivi. Al pm ha detto di essersi difeso perchè la vittima l'avrebbe aggredito con una bottiglia rotta
Agli inquirenti Alessandro Patelli, 19 anni, ha raccontato di aver colpito Marwen Tayari mortalmente con un coltello per difendersi, perché si era sentito minacciato: temeva che l’altro lo avrebbe colpito con la bottiglia di birra rotta che aveva in mano. Ha anche detto di avere già con sé l’arma.
Il giovane, accusato di omicidio aggravato dai futili motivi, è stato arrestato domenica (8 agosto) dai carabinieri della stazione di Bergamo Bassa, a pochi metri dal luogo in cui è avvenuto il delitto in via Ermete Novelli. Il ragazzo, portato in carcere, assistito dall’avvocato Enrico Pelillo, ha risposto solo in parte alle domande poste dal pm Paolo Mandurino, poi in preda a confusione e attacchi di panico si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ora si attende l'interrogatorio davanti al Gip.
La versione fornita dal ragazzo, però, diverge da quella fornita dalla compagna di Tayari, Eleonora Turco, e non convince del tutto chi si sta occupando delle indagini. Marwen Tayari, tunisino di 34 anni, è morto tra le braccia della compagna e sotto gli occhi delle due figlie, di 12 e 2 anni.
Marwen, la moglie e le due bambine erano venuti in città da Terno d’Isola (paese in cui vivono) per fare una passeggiata in centro e stavano mangiando un panino seduti davanti ai gradini del portone d’ingresso del palazzo in via Novelli in cui abita il diciannovenne, che in quel momento stava rientrando. Erano da poco passate le 13 quando è avvenuto il battibecco.
Pare che il giovane, passando, abbia urtato la figlia dodicenne e che Tayari abbia detto al ragazzo di stare attento a dove metteva i piedi, perché rischiava di fare male alle bambine. Poi il giovane è salito in casa, è sceso nuovamente in strada e la lite è proseguita fino a quando i due sono finiti a terra. Ed è qui che le due versioni discordano.
Secondo la compagna e la figlia della vittima, Patelli è sceso con il casco integrale indossato, la visiera alzata e teneva in mano il coltello a serramanico, poi sequestrato dai carabinieri, e minacciato Marwen dicendogli: «Voi siete capaci solo di usare le bottiglie». Il tunisino, che aveva la bottiglia in mano, l'ha appoggiata per terra e ha fatto uno sgambetto al giovane il quale, cadendo, l’avrebbe trascinato a terra con sé. Quindi il tragico epilogo: sei coltellate in diversi punti del corpo. Marwen si è rialzato barcollando, ha preso la bottiglia ed è arrivato fino ai gradini, dove è caduto, rompendo la bottiglia. Ha dichiarato Eleonora ai giornalisti: «Il ragazzo ha detto una sola volta: "Chiama l'ambulanza" e io gli ho urlato: "Me lo ammazzi e mi chiedi di chiamare l'ambulanza". L'ho visto solo più tardi con il padre che si è messo le mani nei capelli disperato. Marwen lo avevo tra le braccia, non mi ha neanche guardato negli occhi, ha fatto un rantolo, le labbra sono diventate blu, era freddo, è morto con gli occhi aperti, glieli ho chiusi io. Adesso voglio giustizia per mio marito».
Alessandro Patelli agli inquirenti ha detto invece di essersi difeso. Era salito in casa per prendere il casco perché doveva andare a Trescore dove la famiglia ha un terreno con un capanno. Il coltello lo avrebbe avuto già in tasca perché quando andava a Trescore lo usava per fare piccoli lavoretti. Tornato in strada, scoppiata nuovamente la lite, sentendosi minacciato dal tunisino che aveva la bottiglia di birra in mano avrebbe prima detto a Tayari di stare lontano perché era armato, poi, messo alle strette, quando erano entrambi per terra, avrebbe reagito pugnalandolo.
Nessuna telecamera ha ripreso l’omicidio, ma potrebbe esserci un testimone chiave: un senzatetto sessantenne che ha assistito alla scena (chi indaga lo ritiene una persona attendibile). Ieri è stato ascoltato in Procura e ha riferito che di sicuro il tunisino non aveva in mano la bottiglia perché l'aveva appoggiata a terra: «Io li ho visto rotolarsi, poi il tunisino si è alzato ed era ferito, ho cercato di aiutarlo tamponando il sangue».
Eleonora Turco e Marwen Tayari si erano conosciuti tredici anni fa, quando lei lavorava in un supermercato. Si era innamorata di questo giovane e aveva fatto una scommessa con se stessa: «Deve essere mio». La convivenza fra i due non è sempre stata facile, sia perché Tayari «ha sempre fatto fuori e dentro dal carcere, abitavamo a Ponte san Pietro, ma era più il tempo in cui stava in carcere di quello che passava a casa», ha detto la donna. Tayari aveva precedenti per spaccio, lesioni personali, rapina, resistenza, maltrattamenti in famiglia (lei stessa lo aveva denunciato nel 2017, 18 e 19) e stalking. L'ultimo precedente per spaccio risale a due settimane fa a Brescia. Eleonora Turco ha raccontato di litigi, soprattutto per gelosia, «ma alla fine tornavamo sempre insieme. Tredici anni e due figlie. Ci eravamo fatti la promessa di matrimonio, anche se a lui piaceva chiamarmi moglie ugualmente: ci siamo tatuati i nostri nomi».
Dopo l'autospia, la salma di Tayari sarà portata in Tunisia.