Retroscena

Confindustria, quel «comando io» che ha messo a rischio la fusione con Lecco-Sondrio

Non è piaciuto l'atteggiamento del direttore generale orobico, Paolo Piantoni: lariani e valtellinesi, infastiditi dalla spocchia, hanno alzato le barricate. Ma non è finita

Confindustria, quel «comando io» che ha messo a rischio la fusione con Lecco-Sondrio
Pubblicato:
Aggiornato:

di Andrea Rossetti

Le dichiarazioni ottimiste di sei mesi fa, quelle del presidente di Confindustria Bergamo Stefano Scaglia e del collega di Lecco-Sondrio Lorenzo Riva, che davano praticamente per fatta la fusione tra le due associazioni industriali portando alla nascita di Confindustria Lombardia Nord, appaiono oggi tremendamente fuori moda. E forse, a posteriori, sono anche state un po’ ardite. Perché l’iter verso l’unificazione, sebbene non si possa definire naufragato, traccheggia in un mare di incertezze, titubanze e attriti.

I motivi delle tensioni

Lunedì 27 settembre il tema è stato al centro del consiglio generale di Confindustria Bergamo. Il problema, come è stato rivelato da noi di PrimaBergamo la scorsa settimana, è uno: agli industriali lariani e valtellinesi non sono piaciute le condizioni poste dai bergamaschi, che più che una fusione sembrano volere un’annessione. E hanno spedito al Kilometro Rosso una lettera molto piatta in cui verrebbero fissati otto punti non negoziabili per fare in modo che l’operazione vada in porto. Il condizionale è d’obbligo, perché il testo di quella lettera, al momento, resta riservato e dai massimi vertici delle due associazioni nulla filtra. Non vale però lo stesso per tutti i livelli.

Sebbene la richiesta espressa la sera del 27 settembre nella nuova, bellissima sede confindustriale bergamasca sia stata chiara (nessuno dica niente), non tutti sono riusciti a mordersi la lingua. Anche perché non tutti i confederati stanno apprezzando il modo in cui Bergamo sta portando avanti la trattativa. Sebbene, ufficialmente, i problemi sarebbero legati alla riorganizzazione delle competenze tra diversi uffici e figure post fusione, con sovrapposizioni che porterebbero a tagli di costi ma anche di personale, ufficiosamente anche a Bergamo si è capito che l’atteggiamento tenuto da alcuni esponenti delle governance confindustriale orobica durante la trattativa ha portato a una frattura che rischia di essere insanabile.

Paolo Piantoni, direttore generale di Confindustria Bergamo

Quell’aut aut indigesto

Una versione confermata da Lecco, dove il nome che circola è uno e soltanto uno: Paolo Piantoni. Cinquantenne, direttore generale di Confindustria Bergamo dal 2017 dopo una brillante carriera interna iniziata nel 1998, pare che sin dall’inizio della trattativa con Lecco e Sondrio si sia posto con una sicumera decisamente poco accomodante. In sostanza, Piantoni avrebbe detto: discutiamo pure sulla futura presidenza dell’associazione che verrà, ma il direttore generale resterò io. Il modo migliore per fare saltare tutto, dato che, in concreto, è il direttore generale a “comandare”. E dunque a decidere la riorganizzazione ed eventuali tagli post fusione.

Nei mesi successivi, la commissione bergamasca che si occupa della fusione, guidata dall’ex presidente Andrea Moltrasio, ha provato a limare gli spigoli, ma con scarsi risultati. Anche perché, in realtà, le mire “egemoniche” di Piantoni non sono mai state realmente messe in discussione. Portando così gli industriali lariani e valtellinesi alla decisione di mettere nero su bianco i punti fermi e non negoziabili della futura operazione. (...)

Continua a leggere su PrimaBergamo in edicola fino al 7 ottobre, oppure in versione digitale cliccando QUI

Seguici sui nostri canali