Confindustria Lecco-Sondrio dice no. Bergamo resta senza la promessa sposa
Il Consiglio generale di lariani e valtellinesi ha deciso che «i tempi non sono maturi». Se ne riparlerà più avanti...
di Andrea Rossetti
La data c’era già da un po’: 15 ottobre. Gli inviti erano già stati recapitati, e sono inviti di peso: il ministro dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa, il direttore dell’Ispi Paolo Magri e il presidente nazionale di Confindustria Carlo Bonomi. Anche la band è stata scelta: i Pinguini Tattici Nucleari. Probabilmente anche le bomboniere sono già state preparate, ma rimarranno, almeno per ora, in un magazzino, perché le nozze tra Confindustria Bergamo e Confindustria Lecco-Sondrio sono rinviate (forse) a data da destinarsi.
«I tempi non sono maturi»
Dopo quanto rivelato da noi di PrimaBergamo nelle ultime settimane, infatti, le voci ufficiose sono diventate ufficiali con il Consiglio generale degli industriali di lariani e valtellinesi, che il 5 ottobre hanno sancito come, al momento, i tempi non siano maturi per la fusione. Sono ancora troppo distanti le posizioni. Se ne occuperà, quindi, il successore del presidente Lorenzo Riva, che verrà però nominato solo a metà 2022. Il che significa che il dialogo e le trattative tra le due associazioni dovranno ripartire in quel momento e quasi da zero, dato che anche il mandato del presidente orobico, Stefano Scaglia, è in scadenza.
Una sconfitta per Scaglia
La decisione ufficiale è già pervenuta in quel del Kilometro Rosso, sebbene a Lecco e Sondrio abbiano deciso di non emettere alcuna nota ufficiale. Per salvare il salvabile, si è deciso di comunicare lo stato dei fatti in modo congiunto probabilmente la prossima settimana, se con una nota o una conferenza stampa si vedrà. Bergamo dovrà infiocchettare, dal punto di vista mediatico, quella che è a tutti gli effetti una sconfitta. Per Scaglia, in primis, che sul progetto Confindustria Nord Lombardia ha investito tutto l’ultimo anno e mezzo del suo mandato. Una sconfitta che si sarebbe potuta evitare se solo ci fosse stata maggiore elasticità e diplomazia da parte dei bergamaschi, che invece si sono impuntati sin da subito sulla volontà di “comandare” i giochi. Un modo di porsi che ha messo immediatamente sulla difensiva la controparte, vistasi costretta, alla fine, a stilare una lista di otto punti «non negoziabili». Questi paletti non sono mai stati resi noti, ma è risaputo che tutti vertono su un unico elemento: l’equilibrio della futura governance, una pari dignità tra tutte le parti in causa.
Che Confindustria Bergamo, numericamente, valga di più è un dato di fatto. I suoi numeri sono doppi in tutto rispetto a Lecco e Sondrio messe insieme. Proprio per questo, lariani e valtellinesi chiedevano qualche tutela in più in caso di fusione, così da non finire inglobati, fagocitati nel ventre industriale orobico, e sparire. Da Bergamo, però, non sono mai arrivate le aperture sperate. E l’atteggiamento non è mai cambiato. Portando così alla rottura, seppur momentanea, delle trattative.