I consigli di Laura Adele Feltri. Le case in città sono 71 mila, 5.819 le popolari
La riforma del Catasto non avrà effetti fiscali, dice Draghi. Ma servirà a mettere ordine e a far emergere gli edifici abusivi
di Luigi de Martino
Si parla molto di riforma del Catasto, ma poco di quali siano le sue origini, del suo significato. Ne parliamo con Laura Adele Feltri, esperta di case e fabbricati, agente immobiliare.
Può dirci qualcosa in merito?
«La storia del catasto parte da lontano, in Italia inizia intorno al X secolo, quando gli arabi introdussero in Sicilia un sistema rudimentale di classificazione della proprietà riportandolo su registri particolari».
E quindi?
«Venendo all’età contemporanea: con il regio decreto legge numero 652, del 13 Aprile del 1939 (entrato però in vigore nel 1962) si inizia in modo sistematico a “fotografare” con maggior precisione ciò che si stava costruendo o già esisteva nel nostro paese. Negli anni 2000 il catasto mappale è stato digitalizzato e ora è gestito dell’Agenzia delle Entrate e dai Comuni, si è passati così dalla ricerca manuale di documenti cartacei a quella informatizzata».
Di riformare il Catasto se ne parlava da tempo, però solo a ottobre di quest’anno è stato inserito nella legge sulla riforma fiscale; le risulta che fossero stati fatti altri tentativi in passato?
«Ci aveva provato Romano Prodi nel 1996, sono seguiti altri tentativi che non sono mai andati a buon fine. Nel 2014 è iniziato un nuovo importante processo, che prevedeva la sostituzione dei vani con i metri quadrati, però anche in questo caso non se ne fece più nulla. Nel 2019, nonostante la raccomandazione dell’Unione Europea che ci chiedeva un processo di revisione, in modo da allineare i valori catastali con quelli del mercato, non venne realizzato nulla».
Quale è l’obiettivo di questa riforma?
«Fare emergere gli immobili sconosciuti al fisco, che si ipotizza siano un milione su tutto il territorio nazionale. Parliamo sia di costruzioni abusive che di abitazioni con un’errata destinazione d’uso o un’errata attribuzione di categoria catastale; cose spesso fatte per eludere il pagamento delle imposte sugli immobili o ottenere uno sgravio sulla cifra da versare».
Dal punto di vista catastale quale è la fotografia della Bergamasca?
«Risultano registrati in tutta la provincia 725.218 immobili a destinazione residenziale, di cui 71.852 nel capoluogo. Gli immobili, a secondo della loro tipologia, vengono inseriti in classi diverse. La più numerosa è la A2 dove troviamo le cosiddette abitazioni civili (in città ve ne sono iscritte 30.414 e in provincia 206.494), la A3 è relativa alle abitazioni economiche (in città ve ne sono 28.522 e in provincia 297.342) mentre i villini vengono inseriti nella classe A7 (a Bergamo 2.331 e in provincia 67.738). Le case popolari poi vanno in A4 (a Bergamo 5.819 in provincia 59478) le ville singole in A8 (a Bergamo 101 in provincia 582) e in A1 quelle di lusso (a Bergamo 151 in provincia 370) A9 i castello e palazzi di grande pregio artistico e storico (a Bergamo 93 in provincia 109)».
Le altre classificazioni?
«Nella categoria A10 troviamo studi privati e uffici (a Bergamo 4.114 in provincia 12.950). Le autorimesse sono accatastate con la classe C6 (ne troviamo a Bergamo 58.268 in provincia 527.768). Questa riforma dovrebbe cancellare la separazione tra case popolari e di lusso classificandole come “immobili ordinari” e “immobili speciali”».
La riforma del catasto è - come qualcuno ha detto - una patrimoniale sulla casa?
«Mi fermo alle parole del direttore nazionale dell’agenzia delle Entrare, Ernesto Maria Ruffini, che afferma si tratti semplicemente di una nuova fotografia, fatta con mano ferma, di tutti gli immobili esistenti, affinché si restituisca un’immagine veritiera e corretta al paese. Anche per difendere gli onesti ed eventualmente colpire gli imbroglioni».
Anche il Governo è della stessa idea?
«Draghi ha più volte rasserenato gli italiani, proprietari di immobili, rassicurandoli che nulla cambierà per i contribuenti. Ha spiegato che la legge delega prevede in un primo tempo la creazione di nuovi strumenti per facilitare lo scambio telematico di dati tra Comuni e Agenzia delle Entrate, così da trovare gli immobili e i terreni abusivi; dal 2026, verrà spianata la strada per poi procedere all’introduzione di nuovi criteri per la classificazione degli edifici con una grande semplificazione».
Lei che cosa ne pensa?
«Penso che sia bene citare le parole dello stesso Draghi: “Perché calcolare le tasse sulla base di numeri che non hanno senso? Non è meglio essere trasparenti? Poi la decisione se far pagare o meno è una decisione diversa, ma noi abbiamo deciso che non si tocca assolutamente nulla, cioè le persone continueranno a pagare quanto pagano oggi. Inoltre la revisione del catasto richiede cinque anni di tempo, quindi di eventuali decisioni se ne parlerà dal 2026. La nostra è un’operazione di trasparenza, l’altra è una decisione di politica fiscale"».
Ma lei personalmente che cosa ne pensa?
«Esistono in effetti immobili dove la rendita catastale è un valore che non corrisponde al reale valore di mercato. Sono questi due parametri, rendita catastale e valore di mercato, che sono attualmente disallineati e che si vorrebbero portare a un giusto equilibrio. L’applicazione delle imposte è un altro discorso, che potrebbe anche avverarsi, ma non credo fin tanto che ci sarà il Governo Draghi, questo perché fino ad ora ha rispettato la parola data».
Pensa che a Bergamo la riforma avrà effetti forti?
«Credo che in città la rivalutazione catastale stia già avvenendo senza l’applicazione della legge. Mi spiego meglio: riqualificando la città, come sta avvenendo adesso, sia con la costruzione di nuove palazzine che attraverso migliorie alle vecchie costruzioni, inevitabilmente le rendite catastali vengono aggiornate e portate ai valori catastali di mercato».