Teatro Donizetti, quanti erroracci nel manifesto pubblicitario della stagione
Vedere un nome che tutti conoscono, come quello di Falcone, storpiato in “Facone”, fa male. Ma non è l’unico refuso
Partiamo da un presupposto: noi giornalisti siamo i primi a fare refusi. A forza di scrivere, magari di corsa, gli inciampi di battitura non mancano e non sempre basta una rilettura per trovarli, anche perché dopo un po’ gli occhi davanti allo schermo si incrociano. Nell’informazione online, però, si può sempre correggere, e questo è un gran vantaggio.
Per la carta stampata le cose sono diverse: una volta pubblicato il giornale, il gioco è fatto. «È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente!», dice uno straordinario Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film “L'ultima minaccia” (1952) al gangster di turno, e protende la cornetta al fragore delle rotative in moto con l’articolo che smaschera la trama criminale. Ecco, il lettore insoddisfatto per un brutto refuso potrebbe girare la battuta contro il direttore del giornale, quando capita. Tiè.
Però vedere il manifesto che presenta la rassegna culturale cittadina di maggior prestigio, cioè la Stagione dei Teatri del Donizetti, fa male. È stampato, ok, e probabilmente in centinaia di copie, quindi il gioco è fatto. Ma un po’ di riletture sarebbero state necessarie, prima di lanciare stampa e diffusione. I quotidiani hanno spesso degli errori, ma i titoli in prima pagina vengono letti e riletti da più persone, e i refusi sono praticamente inesistenti.
Ecco perché vedere un nome che tutti conoscono, come quello di Falcone, storpiato in “Facone”, fa male, anche solo per la memoria e il rispetto che suscita quel nome. Meno visibile e sicuramente meno d’impatto il “mereletti” nel titolo della commedia noir “Arsenico e vecchi merletti”. Ma aumenta il livello di sciatteria che suscita la lettura. Fortunatamente - e giustamente, visto l'elevato livello dell'offerta - il Donizetti di questi tempi fa comunque sempre il pienone.