Oscar Romero che fu ucciso in odio alla fede (e ai poveri)

È di qualche giorno fa la notizia che l’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero è stato ucciso in odium fidei. I teologi riuniti presso la Congregazione delle cause dei santi si sono espressi all’unanimità al momento di riconoscere il martirio subìto dall’arcivescovo di San Salvador il 24 marzo 1980. È un passo decisivo verso la beatificazione del vescovo latinoamericano ucciso mentre celebrava l’Eucaristia e che il popolo acclama come santo già da tempo. Mancano ancora il giudizio del Congresso dei vescovi e dei cardinali e la finale approvazione del Papa, di cui è però nota da tempo l’inclinazione verso questo fratello che gli somiglia davvero tanto.
Non è stato facilissimo arrivare a questo pronunciamento unanime. Stanti le difficoltà della situazione salvadoregna negli anni del ministero del vescovo Romero è stato infatti necessario esaminarne molto a fondo la vita e gli scritti. La complessa e sfilacciata stratificazione di problemi politici, situazione sociale, incrocio di teologie, lotte ideologiche hanno reso per anni assai complicato comprendere dove si collocasse realmente l’azione di questo cristiano che si avvia ad essere riconosciuto martire.
Non bastava, ad esempio, riconoscere che durante le omelie denunciasse violenze e soprusi commessi in parti uguali da bande di delinquenti comuni, squadroni della morte e polizia corrotta esortando tutti alla pace e alla riconciliazione. Avrebbe potuto infatti essere, la sua, una forma di opposizione al governo travestita da preoccupazione religiosa. E questo ne avrebbe fatto un agitatore politico, non un santo. La stessa insistenza neI mantenere le sue posizioni quando persone più prudenti gli consigliavano vivamente di moderare i toni avrebbe potuto rivelare una improvvida tendenza alla sottovalutazione dei rischi. E invece si è capito che non si trattava d’altro che di una scelta per la verità del vangelo e dell’umile e ferma obbedienza al suo compito di pastore.
La cosa più giusta a questo proposito la disse forse nell’anno 2000 - a vent’anni dalla morte - monsignor Gregorio Rosa Chavez, che era stato uno dei più stretti collaboratori dell’arcivescovo: «Perché fu assassinato? È un po’ come chiedere perché ammazzarono Gesù Cristo». E più oltre conclude: «Visse e morì come sacerdote, come pastore buono innamorato di Cristo e del suo popolo».
Per questo la sua causa di beatificazione, andata avanti tra mille difficoltà, è stata sempre punteggiata dal riconoscimento di altri pastori buoni e innamorati di Cristo. Nel 2007, in viaggio verso il Brasile, Benedetto XVI ebbe a dichiarare: «Non dubito che la sua persona meriti la beatificazione». «L’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero è stato un grande testimone della fede e della domanda di giustizia sociale e le verifiche per il nihil obstat dottrinale al suo processo di beatificazione hanno avuto un’accelerazione già con Benedetto XVI», affermava nell’estate 2013 l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, attuale cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ponendo fine alle riserve di carattere «dottrinale e prudenziale» avanzate fino a qualche mese prima da teologi forse troppo puristi. «Adesso i postulatori devono muoversi perché non ci sono più impedimenti», ha detto il 18 agosto scorso Papa Francesco durante il viaggio aereo di ritorno a Roma dalla Corea.
E infine tutti abbiamo potuto leggere, nel testo dell’udienza generale di mercoledì scorso, quella citazione dell’omelia di Romero nella quale un buon pastore è assimilato ad una madre che giorno dopo giorno dà la vita per i suoi figli. Quell’omelia era stata pronunciata da Romero nel 1977 in occasione dell’omicidio di un prete da parte degli squadroni della morte. Non solo i sacerdoti, dunque, ma anche le madri sono - come Gesù - buoni pastori del gregge che Dio ha loro affidato.
Cosa dunque ha armato la mano di chi ha ucciso questo custode dei custodi del popolo di Dio? L’odio, soltanto l’odio profondo nutrito nei suoi confronti da alcuni settori del governo e da una parte dell’esercito salvadoregni esclusivamente in ragione del suo amore per la giustizia e della sua azione in difesa dei poveri. Come diversi testimoni hanno pubblicamente affermato «Romero venne ucciso per il suo amore per la giustizia e per la profonda carità che aveva verso i più deboli». Cioè per una ragione esclusivamente pastorale, religiosa. Come già sottolineò con chiarezza il successore di Romero, Arturo Rivera Damas, «in un contesto di polarizzazione segnato dagli interessi geopolitici che si combattevano nel Paese, si scambiò per connivenza con l’ideologia socialista anche la difesa concreta del popolo inerme, dei poveri e degli ultimi, che uomini come Romero sostenevano non per vicinanza alle idee socialiste ma per semplice fedeltà al Vangelo».
Già. Anche su papa Francesco sono stati avanzati dubbi del genere.
[fonte: Avvenire, Stefania Falasca]
Chi fu Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez (da Wikipedia).
Nato a Ciudad Barrios il 15 agosto 1917 in una famiglia di umili origini, secondo di otto fratelli, fu arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador. La sua prima formazione avvenne nel seminario di San Miguel, in seguito i superiori lo mandarono a Roma dove studiò teologia alla Gregoriana. Ordinato sacerdote il 4 aprile 1942, svolse il ministero di parroco per pochi anni. In seguito fu segretario del vescovo di San Miguel e poi segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. Il 25 aprile 1970 venne nominato vescovo ausiliare di San Salvador e quattro anni dopo vescovo di Santiago de María, uno dei territori più poveri della nazione.
Il contatto con la popolazione stremata e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocò in lui una profonda conversione. La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, lo trovò schierato dalla parte dei poveri, e in aperto contrasto con le stesse famiglie che lo sostenevano e che auspicavano in lui un difensore dello status quo politico ed economico. Romero rifiutò l'offerta della costruzione di un palazzo vescovile, scegliendo una piccola stanza nella sagrestia della cappella dell'Ospedale della Divina Provvidenza, dove erano ricoverati i malati terminali di cancro.
L'assassinio di padre Rutilio Grande, gesuita, suo amico e collaboratore, ucciso assieme a due catecumeni appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, divenne l'evento che aprì la sua azione di denuncia profetica, che portò la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue. L'esercito, guidato dal partito al potere, arrivò a profanare e occupare le chiese, come ad Aguilares, dove vennero sterminati più di 200 fedeli. Le catechesi e le omelie di Romero, trasmesse dalla radio diocesana, vennero ascoltate anche all'estero, diffondendo la conoscenza della situazione di degrado che la guerra civile stava provocando nel Paese. La sua popolarità crescente, in El Salvador e in tutta l'America latina, e la vicinanza del suo popolo, furono in contrasto con l'opposizione di parte dell'episcopato e con la diffidenza della Santa Sede, cauta per il timore di una sua eventuale compromissione con ideologie politiche.
Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, fu ucciso da un sicario su mandato di Roberto D'Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA (Alianza Republicana Nacionalista). Nell'omelia l'arcivescovo aveva ribadito la sua denuncia contro il governo, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L'assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l'ostia nella consacrazione.
Papa Giovanni Paolo II delegò a presiedere il funerale l'allora arcivescovo di Città del Messico. Durante le esequie l'esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro. Il 6 marzo 1983 Giovanni Paolo II rese omaggio a Romero, venerato già come un santo dal suo popolo, sulla sua tomba, nonostante le pressioni del governo salvadoregno. La Chiesa cattolica aprì nel 1997 la causa di beatificazione. Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, citò Romero nel testo della "celebrazione dei Nuovi Martiri".
La sua causa di canonizzazione, rimasta ferma per anni, è stata sbloccata in seguito all'interessamento diretto di papa Francesco, che ne desidera una rapida conclusione, in quanto sulla base delle testimonianza del capitano di polizia Alvaro Rafel Saravia - l'unica persona condannata per l'omicidio - Romero è stato assassinato per odio alla fede; questa decisione è stata comunicata personalmente dal papa al postulatore della causa, che in un incontro privato aveva auspicato la contemporanea beatificazione di Romero e di Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia.