La guerra e i rincari affossano l'agricoltura bergamasca: produrre costa un terzo in più
In provincia di Bergamo crollata la superficie coltivata a mais, Brivio: «Va favorita l’autosufficienza alimentare»
Gli effetti della guerra in Ucraina e dei rincari energetici si fanno sentire anche per le aziende agricole bergamasche. Secondo le stime di Coldiretti i costi di produzione dell’agricoltura sarebbero aumentati mediamente di almeno un terzo e continuerebbero a lievitare di giorno in giorno, mettendo a rischio il futuro delle coltivazioni e degli allevamenti.
«Già prima il settore si stava confrontando con una crisi pesante - denuncia Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo –. Adesso il conflitto tra Russia e Ucraina ha provocato un ulteriore balzo dei costi. Pesano anche il blocco dei trasporti, i comportamenti protezionistici e speculativi di Paesi e operatori che incidono su diversi prodotti, dai mangimi ai fertilizzanti, per non parlare degli imballaggi, dalla plastica al vetro per i vasetti o i barattoli, fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per vino».
Secondo un’analisi di Coldiretti nazionale i costi di produzione dei concimi sarebbero aumentati del 170%, quelli dei mangimi del 50 per cento e quelli dell’energia dell’80%. Un quadro che rappresenta un grosso problema per il nostro Paese che produce appena il 36% del grano tenero che servirebbe, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora, mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
L’Italia è costretta quindi a importare materie prime poiché gli agricoltori, a causa dei compensi troppo bassi riconosciuti ai loro prodotti, sono stati costretti a ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais negli ultimi dieci anni, durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di circa mezzo milione di ettari coltivati. Secondo la Coldiretti la politica ha lasciato campo libero a quelle industrie che per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi degli ultimi decenni, anziché garantirsi gli approvvigionamenti attraverso i contratti di filiera.
«Anche nella nostra provincia non si è colta pienamente la portata della sfida legata all’approvvigionamento alimentare – spiega Brivio -. Da tempo stiamo denunciando l’insensatezza di continuare a sacrificare superficie agricola in favore del cemento. Sono state fatte scelte all’interno delle varie filiere che hanno penalizzato le imprese agricole, non solo sul fronte della remunerazione, ma anche per quanto riguarda decisioni che hanno privilegiato produzioni estere a scapito di quelle interne. Solo ora ci si accorge di quanto sia importante garantirsi il cibo».
Intanto in provincia di Bergamo la superficie investita a frumento è passata dai 4.230 ettari del 2012 ai 3675 ettari del 2021, una flessione del 13%, mentre quella investita a mais è passata dai 12.300 ettari del 2012 ai 8.870 ettari del 2021, in calo del 28%. «Bisogna agire subito per evitare di far chiudere le aziende – conclude Alberto Brivio -. La pandemia e la guerra hanno dimostrato che servono rimedi immediati e un rilancio degli strumenti europei e nazionali che assicurino la sovranità alimentare come cardine strategico per la sicurezza».