Daria e i suoi cari sotto le bombe: «Ma i miei parenti in Siberia negano l'invasione»
Originaria di Sumy, praticante notaio di 26 anni, racconta la preoccupazione e la rabbia per una guerra folle e divisiva
di Andrea Rossetti
Sumy si trova nel Nord-Est dell’Ucraina, a pochi chilometri dalla Russia. Ha 260 mila abitanti circa: è grande, ma non grandissima. Più piccola di Kiev ovviamente, ma anche di Kharkiv, Odessa, Donetsk, Leopoli, Mariupol, città i cui nomi rimbalzano nella nostra quotidianità da ormai due settimane con tragica costanza. Sumy è la città in cui è nata Daria Pavlova, 26 anni, praticante notaio a Milano ma bergamasca sin da quando, a soli 7 anni, ha lasciato l’Ucraina insieme a mamma per iniziare una nuova vita ai piedi di Città Alta. Sulle rive del fiume Psel, però, Daria ha lasciato molti parenti e diversi amici, con cui negli anni non ha mai perso i contatti. Per questo, da giorni, vive in uno stato di angoscia perenne. Ogni notizia da Sumy è una coltellata. Ogni bomba che cade, ogni civile morto, ogni comunicazione interrotta all’improvviso (e Dio solo sa quante volte sia successo in questi quindici giorni), ogni video di palazzine distrutte e corpi dilaniati sull’asfalto, per Daria sono una stilettata in più nel cuore, tra ricordi e foto mentali mai sbiadite.
Ai telegiornali e ai giornali, ai social e alle radio, per le persone come Daria (soprattutto donne, dato che gli uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni non sono potuti andare via dall’Ucraina e molti altri che non vivevano più là hanno deciso di fare ritorno per difendere la loro terra dall’invasione russa) si aggiungono i messaggi e le chiamate terrorizzate e terrorizzanti dei cari rimasti bloccati sotto le bombe e in mezzo ai colpi di mortaio. «Finora, solo mia cugina con i suoi figli è riuscita a scappare - racconta la 26enne -. Aveva capito che aria tirava e la mattina seguente all’invasione russa è salita in macchina ed è partita. S’è fatta 1.800 chilometri fino alla frontiera con la Polonia. Ora non la sento da qualche giorno, ma so che stava bene ed era in salvo. Tutti gli altri miei parenti, come la nonna o la zia, sono ancora a Sumy. Ogni tanto va via l’elettricità, Internet un po’ c’è e un po’ no. Intorno, la morte».
La voce di Daria al telefono viaggia su un equilibrio instabile. A volte trema, s’incrina sotto il peso della paura e della preoccupazione; altre è invece trasparente e tagliente come la lama di un coltello. È tale, ad esempio, quando parla di Putin e delle motivazioni (presunte) che lo hanno spinto all’invasione dell’Ucraina: «Denazificare? Liberare la popolazione russofona? Cazzate, sono spiegazioni folli e prive e di fondamento. La mia famiglia ha origini russe, ho parenti in Russia, io parlo russo. Sumy è al confine, praticamente tutti parlano entrambe le lingue, ma sono ucraini. Orgogliosamente ucraini. Nessuno si è mai sentito “prigioniero” o vittima di discriminazioni. Non c’è alcuna dittatura in Ucraina. Anche il presidente Zelensky è di madrelingua russa, di che cosa stiamo parlando?».
A Sumy, così come in altre città ucraine posizionate proprio sul confine con la Russia (una delle più grandi è Dnipro), la guerra non sta solo distruggendo vite e case, strade e scuole, ma anche legami e sentimenti. Quasi tutti coloro che abitano lì, infatti, hanno parenti, amici o conoscenti oltreconfine. Ucraini e russi come fratelli e sorelle. Un mondo che oggi non esiste più. E che difficilmente potrà tornare a esistere quando tutto questo sarà finito. «Ho dei parenti russi che vivono in Siberia - continua Daria -. Sì, li ho sentiti. Ed è stata un’esperienza tanto dolorosa quanto surreale. Volevo sapere come stessero, se in qualche modo gli echi di questa folle guerra fossero arrivati fino a loro. Ma ai loro occhi parevo una pazza. Anzi, per loro sono una pazza. Mi hanno detto che mento, che non c’è nessuna guerra, che le immagini che noi in Occidente vediamo sono dei film girati apposta per farci credere che la Russia sia cattiva e violenta. Non c’è alcuna invasione, hanno insistito. Semplicemente, Putin vuole fare in modo che i nazisti non governino più l’Ucraina. Non li ho più sentiti».