All'ex chiesa della Maddalena

Gli atleti, i volti e i giardini "scolpiti" della pittrice Carola Mazot, allieva di Manzù

È stata un'artista di talento libera dalle mode e dal mercato. La rassegna curata dalla figlia Caterina di Fidio, resterà aperta fino al 29 maggio

Gli atleti, i volti e i giardini "scolpiti" della pittrice Carola Mazot, allieva di Manzù
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di Marinella Carione

“Riflessi dall’inconscio” è il titolo della retrospettiva di Carola Mazot, che espone per la prima volta a Bergamo. Inaugurata il 5 maggio nella suggestiva cornice della ex chiesa trecentesca della Maddalena, in via Sant’Alessandro 39/d, e in corso fino al 29 maggio, comprende tre sezioni tematiche (atleti, volti e giardini) le quali ripercorrono alcuni periodi della sua raggiunta maturità artistica, risalenti ai primi anni Ottanta fino a giungere al primo lustro del Duemila. L’esposizione è accompagnata dal testo critico di Chiara Gatti, critica d’arte di Repubblica e direttrice del museo Man di Nuoro.

La prima sezione è dedicata alla serie degli “Atleti”, dove Carola, dopo anni di intenso studio e lavoro, approfondisce l’energia del corpo umano, spargendo con slancio il colore sulla tela, per cogliere i gesti e il dinamismo dei corpi in movimento. «Un soggetto che mi affascina - dirà - e che mi dà più libertà perché il pennello si lancia seguendo spinte irresistibili».

Carola era affascinata dal mistero che i dipinti le trasmettevano: qualcosa che si muoveva nell’inconscio profondo fino a raggiungere la superficie, grazie al pennello e ai suoi riflessi carichi di emozioni vibranti. Così nascono gli sguardi femminili, nell’intimità di momenti particolari, colti durante le prove d’orchestra, ma non solo, e raccolti nella seconda sezione tematica, quella dedicata ai “Volti”. Volti che alludono a una interiorità sensibile, silenziosa e profonda.

La vita arborea, che abbraccia l’ultimo periodo della sua arte nella serie dei “Giardini” (montagne, boschi, alberi, rami, radici, fiori e fogliame), prende forma sulla tela in un intreccio originale, più informale che mai e astratto: Carola raggiunge l’apice della sua sintesi visiva, andando ad esplorare la bellezza silvana nella sua forma didascalica. La sua mano va oltre il giardino e raggiunge gli sconfinati territori dell'inconscio: elementi isolati e particolari come un tronco d’albero, ricordano gli ideogrammi giapponesi e i giardini zen (terza ed ultima sezione della mostra).

Il verde fa subito natura e allo stesso tempo paura, perché è il colore più difficile, ma Carola non lo teme. Glielo ha insegnato il nonno materno, Vettore Zanetti Zilla, paesaggista veneziano post-impressionista, quando a soli tredici anni, molto tempo prima di divenire allieva di Giacomo Manzù all’Accademia di Brera di Milano, apprende i primi rudimenti pittorici, partendo proprio dal verde e dalle sue infinite tonalità, che si possono cogliere osservando attentamente gli alberi nei boschi. Carola ha imparato a dipingere di getto, veloce e sicura, senza ripensamenti.

Carola Mazot, nome d'arte di Carolina Marzotto, veneta di origine, nata a Valdagno nel 1929 e in seguito milanese di adozione, dove si spegne nel 2016, ha vissuto circondata da artisti, tra i quali Donato Frisia («Frisia mi tolse la preparazione a matita, facendomi disegnare dipingendo») e Lorenzo Pepe («Pepe mi insegnò a lavorare senza mai perdere d'occhio l’insieme»), durante la formazione giovanile; Marino Marini, Giacomo Manzù e Pompeo Borra (con il quale si diplomerà nel 1969), che le trasmetteranno l’energia vitale di cui impregnerà tutte le sue tele.

Tuttavia è Mario De Micheli, critico d’arte e accademico (il cui nome, assieme a quello della moglie, è scolpito sul Muro dei Giusti a Gerusalemme), che riveste il ruolo di Maestro: «Soprattutto quando mi fece superare la fase del soggetto unico delle teste a memoria: “Prendi una tela grandissima e fai una composizione”. Riscoprii la bellezza dell’impostazione degli spazi e le nuove spinte ed attrazioni che ne derivavano».

Liana Bortolon, che fu giornalista e critica d'arte, definì i suoi soggetti come delineati a colpi di sgorbia, per il suo tratto vigoroso, dalla linea scabra, quasi scultorea. I critici ebbero a dire che la sua pittura era di impostazione virile, anche se addolcita dal sentimento, cosa che la indisponeva non poco, perché Carola, spontanea e dotata di animo sensibile e delicato, sapeva quanto era difficile essere donna in campo artistico: accorgendosi dei problemi che sorgevano con le gallerie cominciò a firmarsi solo con il cognome. Da uno stralcio di Gioxe De Micheli, pittore, si capisce qualcosa in più di questa artista talentuosa: «Sì, perché Carola, dopo aver preso quello che le serviva dai suoi maestri, ha sempre e solo fatto quello che le piaceva, quello che parlava al suo cuore. Dritta per la sua strada, senza compiacere nessuno, né il mercato, né le simpatie estetiche di questo o quel critico, né le pulsioni, magari anche nobili, delle temperie sociali, culturali e politiche».

Testo raccolto dialogando con Caterina, la violinista ritratta nella serie dei volti, figlia dell’artista e dell'ex preside dell'Artistico Guido Di Fidio, e curatrice dell’allestimento. Orari mostra: giovedì, venerdì e sabato 16-19; domenica: 10-13, 16-19. Informazioni: www.mazot.it. Pubblicazioni su Carola Mazot, e cataloghi delle sue mostre, sono conservate in molte Biblioteche d’Arte d’Italia. A Bergamo si possono consultare presso la Tiraboschi.

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