Costi alti e temi scottanti: lo spettacolo sulla Carrà ha spaccato la Fondazione Donizetti
La proposta del direttore artistico Micheli piace a Gori, ma spaventa il presidente Berta e altri del Cda. Perplessità anche tra gli sponsor
di Andrea Rossetti
Raffaella Carrà è stata una rivoluzionaria. Anzi, per certi versi è stata lei stessa rivoluzione. Lo ha spiegato bene lo scrittore spagnolo Manuel Vilas, che di lei ha detto: «Uscivamo dalla lunga, triste, orribile notte del franchismo e ci ritrovammo con Raffaella. La fine degli Anni Settanta ci portò la libertà politica e le canzoni di Raffaella Carrà». E vogliamo poi parlare del Tuca Tuca? Un ballo giocoso e sensualissimo portato in prima serata sulla Rai, con un mini abitino che poco lasciava all'immaginazione. Nel 1971. Cambiò il mondo. Il nostro mondo. Insomma, la Carrà era abituata a portar sconquasso. Era però difficile immaginare che, a un anno dalla sua morte, sarebbe addirittura riuscita a far traballare la casa della musica lirica bergamasca, la Fondazione Donizetti.
Nodi e tensioni son definitivamente venuti a galla lo scorso 16 giugno, quando il direttore artistico Francesco Micheli s’è presentato al Cda della Fondazione con una proposta decisamente bizzarra, artisticamente provocatoria: inserire nel programma della lirica 2023 del Donizetti una nuova opera dedicata al caschetto d’oro più amato dagli italiani (e non solo). Nell’anno in cui Bergamo sarà, con Brescia, Capitale italiana della Cultura, un progetto del genere non passerebbe certo inosservato. E Micheli lo sa bene. Così come lo sa bene il sindaco Giorgio Gori, che infatti è stato il primo a intuire la forza di quest’idea e ad appoggiarla. Non proprio la stessa reazione avuta dai consiglieri della Fondazione, che invece sono parsi più freddi. Tra le due parti s’è così ritrovato il presidente Giorgio Berta, “uomo” di Gori ma pure frontman (per restare nel gergo dello spettacolo) del Cda.
Una questione di soldi
In realtà, il “progetto Carrà” ha portato a galla tutta una serie di questioni interne alla Fondazione Donizetti che, finora, erano rimaste appena sotto la superficie. In primis, quella economica. Premesso che la programmazione lirica è quella che richiede i maggiori sforzi, realizzare da zero un’opera nuova richiede risorse enormi. E sebbene Micheli non sia stato particolarmente esaustivo circa i contenuti dello spettacolo che vorrebbe realizzare, una cosa è stata poi resa nota (dal Corriere Bergamo): il direttore artistico avrebbe coinvolto nel progetto La Rappresentante di Lista, il duo composto da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina che è balzato agli onori delle cronache pop dopo l’ultima partecipazione a Sanremo. Tutte le musiche dell’opera sarebbero firmate da loro, cosa che ha fatto ulteriormente lievitare un preventivo per cuori forti. Alla fine, si parla di circa seicento, settecentomila euro.
Peccato che, secondo il Cda, questi soldi non ci siano. L’anno scorso, da Roma, sono arrivati due milioni di euro per la Fondazione, di cui buona parte è stata investita proprio nella programmazione per il 2023. L’opera dedicata alla Carrà, però, farebbe saltare il banco. Anche per questo i parlamentari bergamaschi (in particolare quelli dem, sollecitati da Gori) stanno facendo molte pressioni sul ministro della Cultura Dario Franceschini per portare a Bergamo un altro milioncino. Ma, per ora, da Roma hanno risposto picche. Il sindaco è ottimista, i consiglieri della Fondazione molto meno. Anche perché, nel caso in cui dessero il via libera al progetto e poi quei soldi non arrivassero, ci si troverebbe costretti a tagliare il programma. Tenendo però, ovviamente, l’opera sulla Carrà.
Micheli e il rischio rottura
Naturalmente, di queste questioni Micheli s’interessa poco. O meglio, fa quello che pare stia facendo sempre più spesso: chiedere al Cda di investire, di fare le cose in grande, di non fossilizzarsi sui conti. «Peccato che poi la responsabilità sia nostra, non di Micheli o del sindaco...», commenta a mezza voce un consigliere. (...)