Un viaggio del Corriere della Sera

Uomini come topi: un milione nei sotterranei di Pechino

Uomini come topi: un milione nei sotterranei di Pechino
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Osservando e visitando una città, capita spesso di non accorgersi realmente della sua vera essenza, di limitarsi a conoscere l’apparenza e accontentarsi di essa. In questi casi, solitamente, si dice che si è conosciuto solo il lato superficiale della città, non quello vero, che pulsa sotto ciò che abbiamo visto. Ma questo modo di dire è quanto mai azzeccato se si parla di Pechino: in tanti la visiteranno o l’hanno visitata in passato, ma in pochi sanno che esiste una Pechino sotterranea. E non in senso metaforico, ma nel vero senso della parola: un “mondo di sotto” dove centinaia di migliaia di giovani e lavoratori migranti vivono nella speranza, un giorno, di potersi permettere una casa normale. Niente di che, anche solo un monolocale con almeno una finestra. Secondo uno studio indipendente si parla di un milione di persone, appena 281mila per un censimento delle autorità datato 2014. La sensazione è che la cifra che si avvicini di più alla realtà sia la prima. A raccontarci questo mondo è il giornalista Guido Santevecchi sulle pagine del Corriere della Sera.

 

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La tribù dei topi. Le abitazioni in cui vivono questi abitanti di Pechino sono ricavate nei circa 6mila rifugi antiaerei della città, scavati sotto i palazzi a partire dal 1949, l’anno della fondazione della Repubblica popolare, quando la Cina era isolata e temeva un attacco dei capitalisti. Sono passati 66 anni, la Cina è divenuta la seconda economia del mondo, il Paese con il Pil in più forte ascesa, lo Stato che vanta 3 milioni di milionari e 300 miliardari (secondo Fortune) e in cui i rifugi antiaerei son diventati il perfetto habitat di chi sogna di entrare nella Cina vincente, ma intanto deve accontentarsi dell’altro lato della medaglia. Se Pechino economicamente funziona, gran parte del merito è di quella parte di popolazione rappresentata dal “mondo di sotto”: manodopera a basso, bassissimo costo, che accetta di vivere in queste condizioni in cambio di un barlume di speranza per il futuro. Non persone senza istruzione, anzi, ma tantissimi giovani, il cui stipendio del primo impiego, però, non permette di sostenere i costi di un affitto normale, alla luce del sole. E così stringono i denti in stanze senza finestre, di dieci metri quadrati e nascoste nei sotterranei dei grandi palazzi. Tutti hanno un nome, ma quando la gente viene a sapere dove abitano, diventano semplicemente membri della “tribù dei topi”, come li chiamano gli abitanti di Pechino.

 

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Il sogno di un domani migliore. Se pensate che gli abitanti della Pechino sotterranea siano dei poveracci costretti a vivere in condizioni di vita pietose e penose, vi sbagliate. Molti di loro hanno lavori normalissimi: sono parrucchieri, impiegati, contabili, insegnanti, anche informatici. In maggioranza sono ragazzi ben istruiti, diplomati, ma che arrivano dalla provincia e non hanno una casa a Pechino. Il vero problema è che il salario d’ingresso in Cina è veramente bassissimo: la media per un giovane diplomato è di 4mila yuan, poco più di 500 euro al mese. Troppo poco per permettersi un appartamento in affitto, anche in un palazzo vecchio e maltenuto, dove la media è di 3.500 yuan al mese. E così sono costretti ad accettare il compromesso: il sogno di un domani migliore vissuto in dieci metri quadrati senza finestre. Sì, perché nella Pechino sotterranea una stanza per due persone costa circa 450 yuan al mese, meno di 60 euro, una cifra che permette a questi giovani diplomati di mettere da parte abbastanza soldi da sognare poi un futuro migliore. Niente di che, giusto il sole che filtra dalle finestre la mattina presto.

 

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La testimonianza. Santevecchi, nel suo articolo, ci racconta la sua esperienza a contatto di questo mondo. A pochi minuti dal centro economico della capitale cinese si trova il Ding Fu Zhuang (“Villaggio della Felicità Eterna”), un palazzone di 11 piani, grigio, come tanti di quelli che riempiono Pechino. Sul retro una porticina porta al rifugio antiaereo, quattro rampe di scale, svariati gradini e una porta blindata sotto. Una volta entrati c’è la portineria, ovvero la gabbietta del proprietario delle stanze. Con un escamotage, il giornalista riesce a farsi portare nel vero “mondo di sotto”: corridoi lunghi, puliti, su cui si aprono maree di porte. Sono le case della “tribù dei topi”. Lì sono circa 90 stanze, poco più di 100 persone. Un cartello chiede attenzione: sono vietate le coperte elettriche, le pentole a pressione e i bollitori. Non c’è riscaldamento, fa un freddo cane, ma chi ci abita si abitua presto al gelo, o almeno così racconta Liu Zhou, 24 anni, programmatrice di pc insieme al marito e trasferitasi a Pechino dalla provincia dell’Henan 7 mesi prima. Ora lei è incinta e non lavora, ma lo stipendio è di 4mila yuan a testa (1.200 euro in due). Vivendo lì sotto risparmiano qualcosa, anche se pagano pochi yuan in più d’affitto per avere la luce e il collegamento a internet. È questa ragazza a riassumere, in poche parole, perché accettano di vivere nella Pechino sotterranea: «Non siamo diversi dagli altri, vestiamo come loro, pensiamo come loro e tra qualche anno, quando avremo risparmiato abbastanza, vivremo di sopra, alla luce del sole, anche noi». Ve lo auguriamo.

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