Frode processuale e depistaggio

Omicidio di Yara, il paradosso: indagata Letizia Ruggeri (che risolse il caso)

Dopo la denuncia dei legali di Bossetti, il gip di Venezia iscrive la Pm bergamasca nel registro degli indagati. La vicenda è quella dei campioni di Dna

Omicidio di Yara, il paradosso: indagata Letizia Ruggeri (che risolse il caso)
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Nuova puntata della vicenda dell’omicidio di Yara Gambirasio. Il pubblico ministero di Bergamo Letizia Ruggeri, che si impegnò a fondo e nel 2014 riuscì a trovare l’assassino della 13enne di Brembate di Sopra, ora deve essere indagata.

Lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Alberto Scaramuzza, in seguito alla denuncia presentata dagli avvocati difensori di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini.

Nella denuncia i due legali accusano Ruggeri di frode processuale e depistaggio. Il riferimento è alla gestione e conservazione dei campioni di Dna rinvenuti sul corpo della vittima. Materiale risultato decisivo poi per la condanna di Bossetti, oggi in carcere con l'ergastolo.

Archiviare da un lato, indagare dall'altro

Nello specifico, il gip ha deciso di archiviare la posizione del presidente della Corte d’Assise Giovanni Petillo e della funzionaria dell’Ufficio corpi di reato Laura Epis, entrambi indagati in un primo momento.

Contemporaneamente, il gip ha trasmesso gli atti alla procura di Venezia perché venga iscritta la Ruggeri nel registro degli indagati sempre con la stessa ipotesi «a fronte di una denunzia-querela e di un atto di opposizione di parte offesa in buona parte indirizzati nei riguardi proprio di comportamenti del pm Ruggeri Letizia».

Scaramuzza ha scritto della «necessità di un’estensione soggettiva dell’iscrizione nel registro degli indagati in relazione all’unico reato (sempre frode in processo e depistaggio, ndr) attualmente iscritto». Per il gip, tutto questo servirà a «permettere al pm una compiuta valutazione anche della sua posizione in relazione a tutte le doglianze dell’opponente» e «a permettere alla stessa un’adeguata difesa».

I dubbi sulla conservazione del dna 

Il punto contestato riguarda lo stato di conservazione dei 54 campioni di Dna residui, protagonisti e perno delle indagini. Tale materiale venne trasferito, dopo i tre gradi di giudizio, dal San Raffaele di Milano all’Ufficio corpi di reato a Bergamo.

Bossetti e la difesa avevano quindi puntato il dito su una - a tutt'oggi solo presunta - non corretta conservazione dei 54 campioni di Dna dalla quale sarebbe conseguita la loro alterazione. Nel frattempo gli avvocati continuano a chiedere di poter aver accesso ed esaminare i reperti dell’indagine e i campioni di Dna e di conoscerne lo stato di conservazione. A inizio dicembre sono arrivati gli ultimi due no di due diverse Corti d’Assise.

«Sorpreso» il procuratore Chiappani

Il procuratore capo Antonio Chiappani, in un'intervista a L'Eco di Bergamo, si è dichiarato «francamente sorpreso» in merito a fatto che, dopo 3 gradi di giudizio in cui era stata respinta la richiesta difensiva di una perizia sul Dna e 7 rigetti dei giudici di Bergamo sia all’analisi che alla verifica dello stato di conservazione dei reperti e dei campioni residui di Dna nonché dopo la condanna definitiva, la questione del depistaggio venga risollevata nuovamente.

Il procuratore capo ha sottolineato: «Il provvedimento di Venezia arriva dopo che per altre due volte la Corte d’Assise di Bergamo aveva negato ai difensori l’accesso a tali provette e dopo che la procura di Venezia aveva chiesto l’archiviazione della posizione del presidente della Corte d’Assise di Bergamo e di una cancelliera a seguito della denuncia per depistaggio».

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