“The Whale”, dramma profondo che parla di sofferenza
Brendan Fraser torna sul grande schermo con un personaggio il cui corpo diventa metafora del dolore
di Fabio Busi
Una massa informe, un corpo piagato, un’anima in putrefazione. La carne sofferente è sempre stata al centro del cinema di Darren Aronofsky, ma nel nuovo film “The Whale” l’occhio della sua cinepresa, spesso morboso e insistente nell’affondo analitico, sceglie saggiamente di mantenere una distanza di rispetto. Fa troppo male la metamorfosi, questa volta, per essere spettacolarizzata.
Quando compare, il corpo elefantiaco del protagonista Charlie appare quasi come un’allucinazione. La cinepresa lo guarda con una diversa compassione, rispetto ai tossici di “Requiem for a Dream” o alla ballerina de “Il cigno nero”. Questa volta la compartecipazione è piena. Merito anche di un copione che arriva da un’opera teatrale e ne mantiene il rigore: il soggetto è scritto dal medesimo autore.
Nelle stanze in penombra della casa di Charlie si svolge un dramma che non parla tanto, o comunque non solo, di obesità. Parla di come il dolore ridisegni i caratteri delle persone, consegnandoli a un’esistenza amara, nella quale ognuno trova una sua tossicodipendenza, un modo di vivere più o meno distante dalla rettitudine, ma meno faticoso, anestetizzato. Sono medicine necessarie, per obnubilare il cuore sanguinante e distrarlo in qualche modo dal male.
La fine di una famiglia, la morte di un amore o di un fratello, l'addio di un padre, di un marito. La paura di aver deluso i propri genitori. Le deviazioni dei personaggi sono tutte in qualche modo legate a un fatto tragico, che si irradia nelle vite distorcendole. I cibi grassi, l’alcol, le menzogne, l’uso virulento dei social per sfogare una rabbia recondita.
Il punto decisivo sta tuttavia nella possibilità o meno di salvarsi. E non si tratta di sopravvivere, ma di trovare una bolla d’aria nell’apnea della sofferenza. Ognuno cerca la sua, arrivando in modo più o meno conscio a donarsi. Quando la vita è ingrata, solo il bene rivolto agli altri può darci respiro. Anche la tremenda figlia di Charlie (la bravissima Sadie Sink) giunge a sublimare l’odio in una forma molto obliqua di altruismo. La vita può anche finire, ma il demone è sconfitto.