La riflessione profetica

Dieci anni fa l'elezione di Papa Francesco. Don Mignani: «Un nuovo Mosé»

È passato un decennio da quel 13 marzo 2013. Riproponiamo l'articolo che scrisse allora il biblista e parroco di Ambivere

Dieci anni fa l'elezione di Papa Francesco. Don Mignani: «Un nuovo Mosé»
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Dieci anni fa, don Giuseppe Mignani, biblista e già parroco di Ambivere, scrisse un articolo dopo avere assistito in tivù all’elezione di Jorge Mario Bergoglio a Papa, paragonandolo a un nuovo Mosè. Dopo dieci anni di pontificato, pare proprio che don Giuseppe non sia stato smentito. Pubblichiamo quel testo.

Piazza san Pietro, mercoledì, 13 marzo 2013, ore 20. Cessa il mulinare del fumo bianco su nel comignolo più famoso del mondo e si illumina il balcone più famoso del mondo. Il cardinal Tauran, tenero, in leggere e liete vertigini, evoca una tra le più potenti pagine della Bibbia. “Evangelizo vobis gaudium magnum!”. Ho una notizia grande da darvi; vi farà scoppiare di gioia. Pietro è qui: ecco papa Francesco! Dio non ci ha abbandonati; continua a visitare il suo popolo: pace in terra a tutti gli uomini!.

La candida fumata si è collegata alla nube luminosa della presenza di Dio, quella dei capitoli 10, 11 e 41 di Ezechiele profeta: se mai fosse stata oscurata o allontanata dal fumo di Satana, ecco, sta tornando!

Papa Francesco si affaccia. Il saluto della mano e: «Buonasera!». Anche lui ha qualche lieve vertigine, ma si capisce che è abituato al piacere di incontrare la gente: a Buenos Aires e a Roma, in centro e in periferia; sul sagrato del villaggio e su quello della cattedrale; in tram, al municipio, in curia, al ministero. Che dolce!

Lucciconi agli occhi di tutti. Sì, perché lui guarda giù, guarda nelle telecamere, accarezza tutti con gli occhi. I papi che abbiamo conosciuto, sapevano accarezzare con gli occhi. Chi può dire di non aver ricevuto qualche calda carezza dai grandi occhi di Paolo VI?

Insomma, per come esordisce, questo Jorge Mario Bergoglio deve essere appena venuto via da quel mucchio di spine che fiammeggia e parla nel deserto, fin dai tempi di Mosè: «Francesco, Francesco! Io sono il Signore tuo Dio; sono il Dio dei tuoi padri. Io ti mando, in liberazione del mio popolo, a tracciare piste di speranza nel deserto dei cuori; conducili per cammini e per guadi sicuri quando incombe il pericolo e infuria il mare. Io sono con te, sono con voi, in consolazione e salvezza!».

Jorge Mario Bergoglio, per tutto il mondo Papa Francesco

Lui, papa Francesco, non cambia passo, né scarpe, né croce; mette lì, tutto di sé, per il ministero di Pietro. Sembra aver sempre fatto il papa! Certo, perché continua a essere se stesso. Si è caricato del carisma di Pietro e lo dispensa, in schietta semplicità. Evita la fatica di entrare nel ruolo classico da sempre assegnato al papa; per i suoi trascorsi, pare gli riesca meglio che ai suoi pur grandi predecessori. È la fine del mondo! Sì, pare finisca un mondo.

Poi, il silenzio; nemmeno un sssttt! Dalla piazza, da tutta la terra sale universale la preghiera che va a squarciare il cielo, da sotto in su. Nulla di straordinario, perché il mio vecchio parroco pregava Pater, ave e gloria prima di benedire il popolo. E, all'inizio dell’anno scolastico, presto al mattino, con le nostre mamme portavamo fiori al Santuario della Madonna.

Tra i primi messaggi: «Preti, lasciate aperte le porte della chiesa; state al confessionale: distribuite agli uomini la misericordia divina». Papa Francesco pare stia proprio nella scia dei biblici poveri di Javè. E perché non tirar giù dallo scaffale Ignazio Silone? Certo, perché questo papa Francesco pare stia vivendo la sua "avventura di povero cristiano”, forte e bella come quella di Pietro del monte Morrone, eremita, fatto papa con il nome di Celestino V.

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