Stendardo intervista Malagò (Coni) «Questo calcio è da rifare»
(x.j.). Roma, Coni, Palazzina H. All'appuntamento fissato nel quartier generale dello sport italiano con calciomercato.com e con Guglielmo Stendardo, 33 anni, difensore dell'Atalanta, sotto contratto sino al 2016, Giovanni Malagò arriva spaccando il minuto. Buon segno. Anche questo è un segno di cambiamento rispetto ai ritmi paludati, ai cerimoniali stantii e a tutta l'altra muffa infestante il Palazzo del calcio. L'impressione è palpabile: se potesse, Malagò lo demolirebbe domani. Cioè oggi. Ma il rispetto delle regole e dei tempi stabiliti dalle regole è il primo dovere del capo dello sport italiano. E quindi, almeno sino all'11 agosto, quando il consiglio federale dovrebbe eleggere il successore di Abete, Malagò aspetta e guarda. Eppure, basta parlare con lui per capire come morda il freno. Ne ha tutte le ragioni, considerato il disastro del calcio italiano, inabissatosi in Brasile. Questa è la prima intervista che il presidente del Coni abbia mai concesso ad un calciatore professionista della serie A in piena attività, per il primo sito italiano di calciomercato. Naturalmente corredata dal primo selfie. Stendardo è stato così bravo da consentirmi una sola digressione. Da grande farà sicuramente l'avvocato. Se vuole, anche il giornalista.
Come volevasi dimostrare, abbiamo toccato il fondo. Con una disamina attenta, la professionalità e la competenza occorrenti, non pochi addetti ai lavori avevano previsto il disastro calcistico ed a tutti i livelli. Avevano severamente ammonito tutti coloro che, tendenziosamente, sostenevano scelte e programmi che ci avrebbero condotto a una figuraccia mondiale.
Un ruolo determinante lo ha giocato l'inesperienza tecnica e l'ormai logorata ed obsoleta gestione organizzativa che poco e male, ha saputo integrarsi con i nuovi modelli gestionali.
Fondamentale doveva restare il rispetto delle regole circa l'etica e l'idea di partecipare ad un mondiale di calcio con una squadra competitiva, piuttosto che imporci di assistere ad una goffa sfilata in passerella mondiale, per calciatori, tecnici e dirigenti, tutti sponsorizzati, fatte salve le pochissime eccezioni.
Ad essere giustamente arrabbiati e delusi, poiché derubati dello spettacolo atteso da quattro anni che avrebbe potuto anche contribuire, fra l'altro, a riaccendere quel vacillante sentimento di unità nazionale, sono la stragrande maggioranza degli sportivi italiani.
Fra questi, il presidente del Coni, Giovanni Malagò che spiega come bisogna cambiare.
Presidente, i veri amanti dello sport hanno iniziato a sperare e credere, col suo insediamento al vertice del Coni, in un cambiamento razionale che riformi il mondo del calcio in ogni suo aspetto. Quali sono le priorità d'intervento per ridare al calcio il ruolo che merita e, agli sportivi, la tutela contro la violenza in ogni suo grado?
"Innanzitutto mi fa molto piacere che si parli dell'aspetto sociale. Il ruolo e il mondo che rappresento non sono assolutamente separabili dalla funzione sociale e direi, più che mai, per i tempi che viviamo e rappresentano le due facce della stessa medaglia. Nel calcio stiamo vivendo una fase storica: vedremo ciò che succederà l'11agosto con le nomine federali. In materia ho idee molto precise. Non andrò contro le norme e contro i regolamenti: non perchè non abbia il coraggio che credo di aver dimostrato di possedere, ma perchè va rispettata l'autonomia della singola disciplina sportiva. Il principio vale per il calcio come per le altre federazioni".
Xavier Jacobelli chiede: "Presidente, Barbara Berlusconi ha invocato, giustamente, un ricambio generazionale che lei già interpreta sia dal punto di vista sportivo sia sociale, con gesti di significativa sensibilità come la sua presenza ai funerali del tifoso napoletano Ciro Esposito. E' d'accordo con Barbara Berlusconi?
"Non è detto che ci sia correlazione diretta tra l'età e la mentalità di chi dirige lo sport, ma sono convinto che una persona più giovane sia maggiormente in grado di fare le cose che servano nello specifico. Una persona non più giovane ha il vantaggio di conoscere meglio i meccanismi e di avere un buon bagaglio di esperienze. L'azione deve essere diversa rispetto a quella del passato, in termini di mentalità e di cultura. Ciò che Barbara Berlusconi dice, risulta ineccepibile: manifesto simpatia e stima nei suoi confronti, anche se so che non potrà esprimere alcun voto in Federazione".
Presidente, dopo il disastro brasiliano, tiene banco il futuro del calcio e della Nazionale. Lei stesso intervistato in TV ha espresso tutta la sua insoddisfazione per quanto è accaduto. E adesso?
"I fatti sono inequivocabili. Ho il massimo rispetto delle opinioni altrui, anche se divergono dalle mie. Ognuno ha la propria interpretazione delle cose e ne dà la propria interpretazione. Io ho la mia".
Presidente, in molti dicono che lei stia allo sport come Renzi sta alla politica, interpretando la voglia di rinnovamento a tutti i livelli che si respira nel nostro Paese. Passione, autorevolezza, idee chiare su ciò che vuole fare e ciò che non vuole si continui a fare, riformare e, non ultimo, ma di gradevole accoglienza, un bell'aspetto e una dialettica efficace. Quali di questi punti ritiene di far valere per il raggiungimento dei suoi obiettivi?
"Lei non è il primo a fare un accostamento del genere e mi fa piacere. Non ci sono segreti particolari per lo svolgimento di ruoli istituzionali, ma è fondamentale la trasparenza nelle proprie azioni e la passione per il ruolo che si svolge, come d'altronde, in politica. Purtroppo negli ultimi tempi sono prevalsi aspetti personalistici mentre, un uomo delle istituzioni dovrebbe o meglio, deve sempre tutelare il bene comune, cosa che anch'io, inequivocabilmente, ho sempre cercato di fare. Io sono un civil servant, un servitore dello Stato, nel mondo dello sport.
Non crede che il nostro calcio, dovrebbe prestare maggiore attenzione allo strategico settore dei vivai?
"Questo è l'abc del calcio, è una messa cantata. È indispensabile fare un cambio di passo nella mentalità e nella cultura. Questo non è solo il mio auspicio ma quello di circa 60 milioni di connazionali".
In Italia, uno degli aspetti negativi è l'esterofilia del calcio: nel campionato di serie A è stata raggiunta la punta del 58%. Dice Sacchi: "Nel nosro Paese interessa solo vincere, anche se lo fai con 25 stranieri". Lei che cosa ne pensa?
"Questa è una delle cause della crisi, certamente non è l'unica. Sacchi dice una cosa vera. Ma non soffermiamoci su un solo elemento per giustificare una sconfitta meritata. Qui si evidenzia una questione di cultura, dove emerge tutto ciò che non deve essere e questa è solo una delle cause. Ci sono nazionali al mondiale che stanno ottenendo risultati positivi con i propri giocatori che non militano nei rispettivi campionati nazionali. Inoltre se noi consideriamo il restante 42% di calciatori italiani, siamo poi certi che questi assicurino l'elevato spessore tecnico, fisico e tattico occorrenti? È la mentalità che deve cambiare".
In una recente intervista, lei ha sostenuto che alcuni dirigenti del calcio hanno fatto danni incalcolabili e che i tifosi si sentono autorizzati a delegittimare un sistema perchè lo stesso è delegittimato da chi lo rappresenta. Come si risana un settore determinante come quello dirigenziale?
"Io non voglio dare alibi ai violenti, perchè la violenza è ingiustificabile, ma se il maestro dà un cattivo esempio al proprio alunno, che cosa ti aspetti? Non devo aggiungere altro rispetto a certi comportamenti di alcuni dirigenti del calcio".
In Italia abbiamo pochi opinionisti imparziali e molti addetti al fantacalcio che promuovono indebitamente giocatori il cui valore è discutibile, producendo poi i risultati negativi cui assistiamo. Ha in mente di intervenire?
"In questo, il calcio è lo specchio del paese, una parte della stampa è faziosa, di parte e sappiamo che di editorialisti indipendenti ce ne sono pochi. Si è sempre cercato di fare la volata all'amico dell'amico o, addirittura, all'azionista, per interessi di carattere associativo e questo fa parte di ciò che sostengo. Non è solo un problema della tifoseria, ma del dirigente, del calciatore e di tutto il sistema, da chi va allo stadio a chi, logicamente, è responsabile di gestire una società. Pertanto, a cominciare dagli addetti ai lavori, giornalisti in primis, certamente non tutti, devono onestamente rientrare in un ordine diverso. Comunque non bisogna generalizzare".
Il calcio italiano non è più il primo al mondo, nonostante qualcuno tendenziosamente lo indichi sempre fra i più ambiti. C'è da chiedersi perché: gli spettatori sono in forte calo, le prestazioni delle nostre squadre in ambito europeo e non solo, sono di bassissimo livello tecnico. Non a caso, la Juventus ha vinto il campionato avendo quasi 30 punti sulla terza, ma in Europa ha deluso, insieme con le altre nostre rappresentanti. Che cosa ne pensa?
"L'ho sostenuto ancora prima che finisse il campionato, andate a rileggere le mie dichiarazioni. Oggi, di fatto, siamo il quinto campionato al mondo, ma non possiamo rischiare di essere fra tre anni il sesto o il settimo. Non possiamo assolutamente accontentarci e se, dieci anni fa, eravamo i primi, dobbiamo avere l'ambizione di tornare ad esserlo. Abbiamo quindi la possibilità di tornare ad essere leader".
Da quando è diventato presidente del Coni ha sempre insistito sullo sport di base mettendo in risalto il ruolo della scuola. Sport e studio possono condividere un percorso di crescita?
"Proprio in questi giorni incontro il ministro Giannini ed è proprio su questi temi che ci confronteremo: serve una riforma che, fra l'altro, Renzi ha messo al centro del suo discorso programmatico quando si è insediato come presidente del Consiglio dei ministri. La scuola, esauritete le ore didattiche, deve essere gestita dall'associazionismo perchè da sola non ce la farà, c'è un problema di infrastrutture".
Prima del suo insediamento alla presidenza del Coni aveva detto:"Qualora dovessi vincere le elezioni il calcio resterebbe fuori dalla mia giunta: è sotto gli occhi di tutti il disastro che ha prodotto in questi anni". Che cosa intendeva dire all'epoca ma soprattutto cosa intende fare per il futuro o meglio nell'immediato?
"E' molto semplice. Io non ho nulla contro il calcio, anche se bisogna fare una politica sportiva che onestamente vada in parallelo, perché se il calcio deve andare contro quelli che, secondo me, sono gli interessi di tutto lo sport, penalizza l'intera collettività.
Presidente, ci sono molte aspettative nei suoi confronti perchè ognuno auspica un cambiamento radicale che possa, innanzitutto, salvaguardare l'interesse sociale e ripristinare quelle regole etiche, oltre che tecniche, che appartenevano al calcio"antico". Ne è consapevole?
"Ce la stiamo mettendo tutta, ma ricordate che io ho un potere di sorveglianza e non di gestione. Solo in casi straordinari io posso intervenire, mentre, in casi ordinari, logicamente, devo prendere atto di quello che gli altri fanno. Mi auguro che le scelte siano proprio in linea con le mie aspettative".
L'intervista è finita. All'uscita dal palazzo del Coni, la soddisfazione lascia il posto all'imbarazzo. Non solo per la realistica condizione del calcio, tracciata dal capo dello sport italiano e personalmente condivisa in ogni sua parte. Ma per la lezione impartita a quanti, come noi che di pallone viviamo, hanno smarrito il senso e il peso che lo sport rappresenta per il nostro Paese.