ll film “Barbie” manda in bambola i cliché del femminismo
La pellicola di Greta Gerwig ironizza sulla lotta di genere: è la ricerca del proprio posto nel mondo a contare davvero
di Fabio Busi
Potrebbe essere un film femminista, ma sarebbe quasi deludente. Non posso credere che Greta Gerwig faccia un'opera come “Barbie” semplicemente per scagliare il suo potente “f**k you” al patriarcato. Vedendo le recensioni internazionali potrebbe anche sembrare, ma io credo e spero che questo film sia da leggere in modo obliquo. Non femminismo, ma post femminismo. E vi spiego perché, con un piccolo spoiler.
Nel mondo di Barbieland sono le donne, tutte Barbie, a comandare. I Ken sono degli accessori, ma quando il Ken Ryan Gosling scopre come funziona nel mondo reale, instaura una sorta di patriarcato. Se vogliamo, i Ken di Barbieland rappresentano le donne costrette per decenni a rinunciare alle loro aspirazioni nella nostra società, che poi si sono giustamente emancipate. Quindi, tifare perché le Barbie sopprimano questa rivolta significa, forse, tifare contro l'emancipazione in senso lato.
Questa potrebbe essere una lettura molto subdola che Greta Gerwig inserisce sottotraccia in un’opera che passerà alla storia per la sua furbizia colossale. Fa marketing pur prendendo in giro la Mattel, sfotte tutti ma senza che nessuno si senta offeso (o capisca di doversi sentire così), gioca con la pochezza del dibattito pubblico degli ultimi anni, che si polarizza in un triste maschi vs femmine, sfruttandone tutto il potenziale comico. Sembra avallare questa visione, ma in realtà la supera attraverso l’ironia, così come sopravanza la fissazione tutta attuale per la carriera, per il lavoro importante a ogni costo. In ultima istanza, restituisce a ciascuno la libertà di essere se stesso.
In tutto questo, il distinguo essenziale è dato dalla qualità della persona. Non si tratta più di una lotta di genere, ma di una ricerca del proprio posto nel mondo. Un punto semplice per ritornare a un dibattito sensato, ma che pochi coglieranno. Con tutto questo sfavillio, le bimbe al cinema penseranno che si tratta di un inno alle donne, a prescindere. In verità, è un po’ più complicato. Molto brava la Gerwig (e Baumbach) a stratificare il messaggio; ma verrà capito?