Cinema

“Rheingold”, piatto ricchissimo ma povero di fantasia

Biopic diretto da Fatih Akin sulla vita del rapper Xatar, nato in Iraq da genitori curdi e cresciuto in Germania. Serviva un cineasta più raffinato per riuscire a indagare meglio il personaggio, capirne le ragioni

“Rheingold”, piatto ricchissimo ma povero di fantasia
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Di Fabio Busi

Una storia incredibile (e vera) che non ha bisogno di molto altro per sorreggere un film appassionante come “Rheingold”. Persecuzioni etniche, colpi grossi a furgoni carichi di lingotti d'oro, spaccio di quartiere e cazzotti senza guantoni, lezioni di pianoforte e rime taglienti rappate in galera. Un piatto ricchissimo, è la vita folle di Giwar Hajabi, noto anche come Xatar.

Un cinema, quello di Fatih Akin, che sembra richiamarsi a certe opere di puro contenuto e affabulazione, dove le vicende dei protagonisti potrebbero deragliare da un momento all'altro. Uno stile che vorrebbe forse ispirarsi a maestri come Scorsese e simili, ma dei quali non possiede la vitalità, la freschezza, la fantasia. Manca il ritmo, la musica, in generale la capacità di variare sul tema e alleggerire la narrazione. Il risultato è una pellicola che si protrae ponderosa ed essenziale, senza fronzoli e senza particolari approfondimenti psicologici o morali. Ciò che vuole dire, Akin lo mette in bocca ai suoi personaggi e alla voce narrante del protagonista.

Da una parte, questo garantisce un'icastica chiarezza al dettato filmico, valorizzato da un linguaggio realistico e brutale. Dall'altra, però, resta una sensazione di mancanza: è assente una filigrana di riflessione (anche ironica, volendo) e sondaggio psicologico vero. Non che Xatar venga portato in trionfo, ma la neutralità del punto di vista assomiglia a una malcelata simpatia per quelle follie criminali (a volte rese in veste comica). Serviva un cineasta più raffinato per riuscire a indagare meglio il personaggio, capirne le ragioni, scindere il lato diabolico da quello geniale e visionario.
Traspare quasi la tendenza a giustificare. Dice Giwar alla figlia: «Il mio primo ricordo di bambino non è Disneyland, ma una prigione». Però suo padre era maestro di musica... sarebbe stato interessante capire meglio perché il lato più umbratile del suo ego abbia prevalso per lunghi anni su quello luminoso, che comunque resta presente e riemerge. Poco male, grande intrattenimento e una storia attuale, a tratti assurda.

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