Il santuario di San Patrizio a Colzate Dato che oggi è festa grande
Chi percorre la strada che si addentra nella Valle Seriana non può non notare, poco dopo Albino, quando la vista si apre sui primi rilievi delle Orobie, la mole chiara e imponente del santuario di San Patrizio. Arroccato sulle pendici del monte Cavlera, costituisce uno dei più antichi edifici religiosi della valle, e non a caso la sua silhouette è stata scelta per comporre il simbolo della Comunità montana. L’origine della devozione a San Patrizio in un territorio così periferico è un argomento ancora avvolto nell’incertezza, che difficilmente troverà una spiegazione storica soddisfacente. Certamente il culto era assai radicato, trovandosi documentato negli Statuti di Vertova del XIII secolo; probabilmente il fatto che fosse così immerso nella natura ha certamente contribuito a creare intorno al santuario un’aura di misticismo e di mistero.
Il complesso architettonico si è sviluppato accorpando volumi nuovi, progressivamente aggiunti alle rocce che ne costituiscono le fondamenta, mantenendo una gradevole armonia d’insieme. Anche le decorazioni pittoriche, nella loro stratificazione di registri linguistici e pittorici differenti, si sono fuse tra loro nel corso dei secoli, conferendo una complessiva omogeneità, visibile soprattutto nella chiesa “granda”.
Dal portone d’ingresso, superata la cappella di San Lucio e percorrendo una rampa di scalini bassi e larghi, si accede al porticato con colonne in pietra e volte a crociera: qui sono racchiusi l’oratorio antico e la chiesa secentesca. La visuale che si gode dalle arcate è davvero affascinante: lo sguardo spazia dalle quinte boscose del monte ai borghi sul fiume per poi risalire e inoltrarsi nella profondità della valle.
Il luogo sacro più antico era probabilmente costituito dall’abside “a forno” (così definita dalle fonti secentesche) dell’oratorio, che doveva sorgere isolata sulla cima delle rocce e che faceva parte di un percorso penitenziale. In un secondo momento è stata realizzata la piccola chiesetta, chiamata anche “sacello”, che presentava probabilmente la forma attuale già nel 1499. Quando, a cavallo tra Cinquecento e Seicento, i vertovesi decisero di rinnovare e arricchire il luogo sacro, costruirono il porticato e la chiesa secentesca livellando il terreno e asportando il materiale roccioso intorno all’oratorio antico, delineando così una struttura architettonica sviluppata su due piani.
L’oratorio antico. Costituito da un’ aula unica rivolta a oriente, originariamente presentava un tetto in legno a spioventi; intorno alla metà del Seicento, in concomitanza con la costruzione del porticato, il soffitto è stato alzato e sostituito dall’attuale volta decorata in stucco. Un recente restauro volto a recuperare gli antichi locali destinati ai pellegrini, collocati al piano superiore, ha messo in luce un lacerto di affresco della facciata, con una trovata architettonica ben congegnata: una lastra di vetro inserita nel pavimento consente di guardare la parete sottostante, svelando pezzi d’arte dimenticata.
All’interno, dove si conservano gli affreschi più significativi, si riconoscono due nuclei caratterizzati da affinità stilistiche. Il primo narra le Storie di San Patrizio e risale al 1514 (data dipinta in controfacciata, alla quale si accompagnano le iniziali I.S., monogramma dell’ignoto autore chiamato Maestro di San Patrizio). La narrazione inizia sulla parete d’ingresso con il racconto di tre fatti miracolosi, desunti parzialmente dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, e con il tondo recante San Patrizio e l’angelo nel frontone triangolare, per poi proseguire sulla parete destra. L’interpretazione degli eventi è facilitata dalle lunghe didascalie in volgare collocate sotto le scene. Il pittore ha organizzato le scene secondo una logica ancora quattrocentesca, affrescando soluzioni architettoniche che conferiscono spazialità alle scene e separando le storie con paraste e cornici di gusto classicheggiante.
Il secondo nucleo pittorico, collocato nel registro inferiore della parete destra e nella zona absidale, è opera di un altro pittore sconosciuto, più arcaico del precedente, ma comunque capace di imprimere una sua uniformità stilistica (si ripetono, infatti, l’acciottolato del pavimento e le fisionomie femminili, definite da visi ovali e gote rosate, occhi allungati e capelli biondi ondulati). A destra si riconoscono una serie di santi e sante, mentre la zona absidale è interessata da un ciclo “cristologico”, dove spicca il Giudizio universale dell’arco trionfale: al centro il Cristo Giudice in mandorla gotica, con giglio e spada; ai lati la Vergine e San Giovanni Battista in posizione orante, in alto due graziosi angeli tubicini; in basso è affrescata la resurrezione dei morti, con la distinzione degli eletti e dei dannati (si osservi, sulla destra, la nota quasi comica, pur nella sua drammaticità, del diavoletto nero che trascina una donna per i capelli).
Nella conca dell’abside si trova la Natività, ambientata in una capanna definita da un arco rinascimentale; ai lati sono collocati un’elegante Sant’Agnese e un Cristo in Pietà, il cui impatto realistico è ancora notevole nonostante lo stato di conservazione non ottimale. Conclude il ciclo la Crocifissione sul fronte dell’altare, inaspettata sorpresa venuta alla luce durante i restauri del 1986, i cui protagonisti si stagliano con intensità sullo sfondo rosso. La parete nord accoglie infine una serie di ex-voto incongrui ai cicli precedenti, realizzati più tardi e da mani diverse.
La chiesa secentesca. La chiesa “granda”, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1581 dopo lunghi anni di controversia tra il parroco di Vertova e la comunità laica, presenta una planimetria semplice che ricalca la tipologia architettonica prediletta in età controriformistica, finalizzata a una maggiore unità dei fedeli e a un esplicito orientamento verso l’altare. Ma la sua semplicità strutturale è impreziosita dalla monumentalità della decorazione pittorica che ne ricopre totalmente le pareti, compiuta fra Seicento e Settecento con stili pittorici e tecniche differenti.
La zona presbiteriale presenta gli affreschi più antichi, iniziati probabilmente nel marzo del 1600, quando la chiesa veniva “sovracopata” (dotata di tetto). Le scene sono sapientemente incorniciate da un finto telaio architettonico capace di simulare non solo cornici, pilastri e modanature, ma anche decorazioni in stucco, intarsi marmorei e festoni di frutta e fiori, seguendo una soluzione decorativa diffusa a Bergamo nella seconda metà del Cinquecento. Sul lunettone di sinistra si trova la scena di maggior respiro, il Miracolo di San Patrizio, tradizionalmente identificata con un particolare episodio della vita del santo irlandese, intitolato il Fuoco di Pasqua. L’affresco è ambientato in un ampio scenario all’aperto dove le figure sono disposte in successivi livelli di profondità: in primo piano i protagonisti, tra i quali spicca la figura solenne e maestosa di San Patrizio, in secondo piano una città turrita descritta nei minimi dettagli, sullo sfondo montagne nitide che si stagliano su un paesaggio lacustre. La scena è animata da una moltitudine di figurine create con poche ma efficaci pennellate.
Sulle pareti restanti, accanto ad altre scene legate alla vita del santo, sono assolutamente da osservare gli Angeli reggifilattero nelle vele della crociera, i più eleganti di tutto il presbiterio, con i loro abiti dai colori cangianti e dalle complicate volute. Quando nel 2001 iniziarono i lavori di restauro degli affreschi, nell’arco trionfale allora coperto da quadrature settecentesche, è venuta alla luce l’Annunciazione, che ha reso completa ai nostri occhi la decorazione presbiteriale: sulla sinistra l’arcangelo Gabriele, che presenta indubbie somiglianze con gli angeli della crociera, corre con il suo panneggio ingolfato d’aria verso l’Annunciata, colta in preghiera nella sua stanzetta con letto baldacchino e un limpido paesaggio urbano rinascimentale alle spalle.
Ai lati della pala d’altare, San Giacomo Maggiore e San Giovanni Battista fanno parte di un secondo ciclo secentesco, stilisticamente affine a quello presbiteriale, costituito dalla teoria degli apostoli. Le imponenti figure dovevano campeggiare isolate in navata almeno per tutto il XVII secolo, inserite in finte nicchie semicircolari (successivamente coperte da pilastri dipinti a secco). È possibile farsi un’idea del loro aspetto originario osservando il fianco destro dell’arco trionfale, dove è rimasto un frammento di apostolo con spada, deteriorato a seguito dell’apertura di una porta di passaggio in sagrestia.
Nel corso del Settecento (probabilmente dopo il 1713) iniziarono altri interventi di ristrutturazione e decorazione che portarono la chiesa ad assumere l’aspetto attuale. Anche qui si distinguono tre diversi cicli: le quadrature architettoniche spiegate su tutta l’estensione delle pareti; la Gloria di San Patrizio affrescata sulla volta a botte, con la composizione “zigzagata” e le eleganze pittoriche tipicamente rococò; i sei riquadri narranti le Storie di San Patrizio, collocate in navata, che con gusto più neoclassico ripercorrono i miracoli e le tappe salienti della sua carriera ecclesiastica.
La grandiosa prospettiva architettonica, eseguita a secco (e non “a fresco”, come gli altri cicli) è sicuramente la parte più singolare della nuova decorazione e mostra quanto i committenti vertovesi fossero partecipi del gusto per l’illusionismo spaziale proprio del loro secolo. L’ignoto artista è stato capace di sviluppare, con notevole coerenza prospettica, una complessa intelaiatura che finge elementi architettonici (balaustre, cupole, pilastri, colonne, archi, cornicioni e capitelli a cavaturacciolo, tarsie marmoree…), dilatando illusoriamente l’ambiente della chiesa. Se vi collocate al centro della chiesa e guardate sulla parete destra, si può osservare il risultato più efficace raggiunto dal quadraturista: come in una scenografia teatrale, una scalinata conduce, superando un’imponente arcata, in uno spazio “altro”, una sorta di navata aggiuntiva a quella realmente esistente, disposta in diagonale, la cui spazialità è suggerita anche dalla fuga di colonne.
Oggi è giorno di grande festa al santuario: vi invitiamo a rendergli visita, magari imboccando la vecchia mulattiera che è sempre stata la via d’accesso prima che venisse costruita la strada asfaltata. Il luogo è aperto al pubblico e si ha la possibilità di mangiare le ottime pietanze preparate dalle associazioni locali che ogni anno perpetuano un culto antichissimo e misterioso ancora oggi molto sentito e motivo di grande orgoglio.
[Foto ©Arianna Bertone]