La legge sul fine vita in Francia (che non è propriamente eutanasia)

Con 436 voti a favore, 34 contrari e 86 astenuti, l’Assemblea nazionale francese ha approvato una nuova legge in tema di fine vita. Nello specifico, il parlamento di Parigi ha dato il via libera alla possibilità, per i pazienti che lo richiedessero, di ottenere una «sedazione profonda e continua», consapevoli del fatto che questa potrebbe anche portare alla morte. Il consenso, come testimoniano i numeri, è stato ampio e trasversale, come peraltro immaginabile, dal momento che il progetto di legge era stato presentato da due senatori, Alain Claeys e Jean Leonetti, l’uno socialista e l’altro gollista. D’altra parte, alcuni sondaggi effettuati dall’istituto BVA nei giorni scorsi avevano certificato che il 96 percento dei francesi si definiva favorevole a questa nuova norma relativa al fine vita.
Occorre subito precisare che non si tratta di approvazione né di eutanasia diretta né di suicidio assistito, ma di un diverso approccio analgesico, consistente nel somministrare al paziente ogni tipo di farmaco o sostanza che possa alleviargli il dolore della malattia, anche qualora questi possano avere come conseguenza il decesso.
Le differenze con l’eutanasia e il suicidio assistito. Sarebbe un grave errore ritenere che in Francia sia stata legalizzata l’eutanasia in toto, perché non è affatto così. Quest’ultima consiste nel procurare intenzionalmente la morte del paziente, la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.
Esistono diversi tipi di eutanasia: in primo luogo, quella attiva diretta, che si verifica quando la morte è provocata dalla somministrazione di farmaci che conducono il paziente al decesso; correlata è l’eutanasia attiva indiretta, ovvero l’impiego di mezzi atti ad alleviare la sofferenza del paziente, che possono portare, come effetto secondario, alla morte (è il caso più vicino a quello francese). In terzo luogo, l’eutanasia passiva, consistente nell’interruzione delle cure, lasciando che il fisiologico decorrere della malattia porti il paziente alla morte; e infine l’eutanasia volontaria, ovvero quella applicata su precisa richiesta del paziente (al contrario di quelle finora citate che vengono poste in essere su impulso dei medici o dietro spinta dei parenti del malato) effettuata al momento stesso oppure in precedenza attraverso un testamento biologico.
Diverso ancora è il caso del suicidio assistito, ovvero l’aiuto medico e amministrativo portato al paziente che deliberatamente deciso di suicidarsi. La distinzione rispetto all’eutanasia sta nel fatto che l’atto del togliersi la vita è compiuto interamente dal paziente stesso; i medici ricoprono solamente il ruolo di garanti e di accompagnatori.
In Francia, nei giorni scorsi, erano stati proposti numerosi emendamenti, presentati perlopiù dal ramo socialista, radicale e verde dell’Assemblea, tesi alla legalizzazione definitiva sia dell’eutanasia, nella totalità delle sue varianti, che del suicidio assistito. Ma infine è passata la linea della terza via, quella di una sedazione profonda e continua che possa avere, non necessariamente per quanto probabilmente, come conseguenza la morte del paziente.
Le norme sul fine vita in Europa e negli Usa. Scorrendo le normative europee e americana in materia, si nota subito che c’è tutt’altro che univocità di vedute, comprensibilmente, vista la delicatezza del tema. Per quanto riguarda il Vecchio Continente, l’eutanasia, in tutte le sue forme, è legale solo in Belgio, Olanda e Lussemburgo, mentre il suicidio assistito è previsto in Svizzera, Svezia e in alcuni Stati degli Usa, come Washington DC, Oregon, Vermont e Montana. In Spagna sono entrambi depenalizzati, ma non regolati; una mancanza di norme al riguardo c’è anche in Danimarca. In alcuni Paesi è concessa solo l’eutanasia passiva, come Portogallo, Ungheria, Irlanda e Finlandia. Ferreo divieto di qualsiasi tipo di trattamento legato al fine vita è presente nel Regno Unito, in Norvegia e in Italia. Nel nostro Paese, vi sono stati più tentativi di regolarizzare questa pratica, come nel 1984 da parte del deputato socialista Loris Fortuna o nel 1999 da parte di 16 deputati dell’Ulivo o ancora nel 2001 e 2006 da parte dei radicali, ma senza esito positivo.