Il processo

Omicidio di Temù, le sorelle Zani e Mirto si accusano a vicenda in aula con versioni discordanti

L'avvocato del giovane sostiene sia stato trascinato dalle complici, gli altri difensori l'opposto. La sentenza il 7 dicembre prossimo

Omicidio di Temù, le sorelle Zani e Mirto si accusano a vicenda in aula con versioni discordanti
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La sentenza verrà pronunciata il 7 dicembre prossimo, ma le difese tentano di far crollare quella narrazione del "trio criminale" che ha commesso l'omicidio di Laura Ziliani, la vigilessa di Temù scomparsa a maggio 2021 e ritrovata morta nell'agosto successivo.

Stordita con le benzodiazepine e poi soffocata, adesso gli avvocati delle figlie, Paola e Silvia Zani, e del calolziese (poi trasferitosi a Roncola San Bernardo) Mirto Milani attribuiscono vicendevolmente le responsabilità maggiori agli altri imputati. A riportare la vicenda sono i colleghi di PrimaLecco.

Separati in tribunale

In particolare, nell'udienza di ieri (martedì 28 novembre) si è capito come sia avvenuta una separazione netta tra le due sorelle (entrambe avevano una relazione con il giovane, una fidanzata e l'altra amante) e Mirto. Il tutto, mentre l'avvocato di parte civile della figlia mezzana, Piergiorgio Vittorini, insiste invece sulla premeditazione e sulle pari responsabilità di tutti i rei confessi.

La difesa di Mirto

«L'intero dibattimento ci ha mostrato che il soggetto meno convinto del piano omicidiario e che ha sempre tentato di tirarsi indietro è Mirto Milani, che invece all'inizio era indicato come il manipolatore del gruppo - ha dichiarato però la legale del ragazzo, Simona Prestipino -. Silvia si è ribellata la sera dell'omicidio e avrebbe pure colpito Mirto che, come già accaduto ad aprile nel tentativo di omicidio, aveva cercato di far fare un passo indietro alle sorelle. Se avesse prevalso la volontà di Mirto, questo omicidio l'8 maggio non sarebbe avvenuto e questo aspetto non può non essere considerato per una valutazione delle responsabilità».

La versione delle sorelle Zani

D'altra parte il difensore di Paola, Michele Cesari, ha attribuito l'idea iniziale di uccidere la vittima a Mirto e ha insistito sulla giovane età della ragazza (ha commesso il delitto a 19 anni, adesso ne ha 21), chiedendo l'esclusione della premeditazione e il riconoscimento di una ridotta capacità di intendere e volere al momento dell'omicidio.

L'avvocato di Silvia, Maria Pia Longaretti, ha invece sostenuto che le benzodiazepine somministrate alla madre avessero lo scopo di stordirla, non di ucciderla, e che la sua assistita avrebbe messo la mano al collo della donna per «rompere gli indugi». Ha inoltre chiesto di non riconoscere l'aggravante del vincolo familiare perché il gruppo delittuoso, per l'imputata, costituiva una sorta di famiglia a parte e, proprio per tutelarlo, avrebbe commesso il fatto.

Commenti
Giovanni

Verificherei il qi delke due ragazze. Mi sa che sono giù giù

Matteo

Si salvi chi può no? Infermità mentale.

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