Bagno di sangue a Gaza
Giovedì 10 luglio il primo ministro israeliano Benjamin Natenyahu era stato chiaro: Israele è pronta all’attacco via terra della Striscia di Gaza per rimuovere la minaccia rappresentata da Hamas. Nella notte tra l’11 ed il 12 luglio, la tv Al Arabiya ha dato notizia che i primi scontri tra l’esercito israeliano ed il braccio armato delle milizie jihadiste palestinesi sarebbero avvenuti proprio nei pressi di Gaza. La fonte sarebbe interna alle brigate Al Quds, gruppo armato islamico palestinese. La certezza è che Israele ha condotto nuovi raid, precisamente 60, contro alcuni obiettivi militari di Hamas presenti sulla Striscia, e il numero delle vittime è ulteriormente salito. Il Ministero della Sanità palestinese afferma che si è arrivati a 151 vittime e 670 feriti nelle ultime 44 ore. Molte di queste sono donne, bambini ed anziani. Netanyahu spiega che ciò è inevitabile, poiché «Hamas usa i civili come scudi umani». Israele ha annunciato che nelle prossime ore gli attacchi saranno ancora più forti. Intanto fonti di sicurezza europee affermano che alcune truppe speciali israeliane si sono già infiltrare nella Striscia di Gaza per studiare una mappa degli obiettivi da colpire durante l’attacco di terra. A quanto pare sono alcuni di questi uomini ad essere entrati in contatto nella notte con le milizie jihadiste palestinesi, come riportato da Al Arabiya. Ciò dimostra che Israele è realmente pronto ad attaccare, come confermano le parole di Benny Gantz, Capo di Stato Maggiore: «Siamo pronti, ora sta ai leader politici dare il via alle operazioni». Hamas non resta certamente in attesa: nelle ultime 24 ore è continuato il lancio di razzi – intercettati dal sistema di difesa missilistico israeliano “Iron Dome” - verso Tel Aviv, Hedera e diverse città del Sud dell’Israele, oltre che verso l’aeroporto di Ben Gurion, costretto a sospendere le operazioni per alcuni minuti. Hamas ha avvertito le compagnie aeree internazionali: evitate di atterrare negli aeroporti israeliani.
Il contesto L’escalation di violenza iniziata con il rapimento prima e il ritrovamento poi dei tre ragazzi israeliani uccisi in Cisgiordania ha portato entrambe le parti a inasprire le proprie posizioni. Un duro colpo per i già delicati equilibri mediorientali. In un primo momento Israele sembrava voler adottare una strategia meno violenta, il premier Netanyahu telefonò ai genitori del ragazzo palestinese ucciso a Gerusalemme Est – per mano di fanatici estremisti israeliani che arrestati hanno confessato – e condannò l’accaduto. Adesso invece il premier ha detto che «non tratterà più con i guanti Hamas»: una guerra per annientare definitivamente il movimento. Gli Stati Uniti hanno condannato il continuo lancio di razzi, sostenendo il diritto di Israele a difendersi. Stessa condanna anche dall’Unione Europea, che deplora anche il crescente numero di vittime civili a fronte della rappresaglia israeliana. Il Presidente palestinese Abu Mazen ha esortato Israele a cessare il fuoco e chiede alla comunità internazionale un intervento su Israele affinché si eviti una nuova strage, ma i suoi appelli sono caduti nel vuoto. Obama si è reso disponibile ad entrare in contatto con qualsiasi parte, ma al momento la strada diplomatica appare impraticabile.
Divergenze interne Non è da sottovalutare la situazione interna al governo di Israele, che è tutt’altro che unito. Nei giorni scorsi, infatti, tra il premier Netanyahu e il ministro degli esteri Avigdor Liberman, leader ultranazionalista del partito Israel Beitenu, con il quale vigeva un patto elettorale, si è consumata una frattura. Il rischio di una crisi di governo è concreto, anche perché già da tempo le relazioni interne alla coalizione di governo sono tese: non solo con Lieberman ma anche con Naftali Bennet, leader dell’altro partito della destra ultranazionalista vicina ai coloni. Il motivo risiederebbe nella gestione dei lanci di razzi da Gaza e gli scontri tra polizia e arabi israeliani dei giorni scorsi. Si era visto il falco Netanyahu trasformarsi in colomba, cosa che i suoi compagni di governo non approvano, tanto che Lieberman e Bennet premevano già da tempo per un’operazione in grande stile che annientasse Hamas nella Striscia di Gaza. Il premier, invece, insisteva per trovare una via di dialogo che riportasse la calma nel sud del Paese. I fatti delle ultime ore sembrano dire il contrario.