La recensione

"Saltburn" è bello senz’anima, come i suoi protagonisti

Sequenze esteticamente sopraffine e provocatorie, ma si sacrifica tutto per un colpo di scena (che traballa)

"Saltburn" è bello senz’anima, come i suoi protagonisti
Pubblicato:

Di Fabio Busi

Si susseguono immagini molto belle e curate esteticamente, studiate, rigorose nelle inquadrature. Intanto il tempo passa, e non è ben chiaro dove “Saltburn” (di Emerald Fennell) voglia andare a parare. Questo perché il soggetto costruisce quadri retorici, situazioni glamour e provocatorie, trasgressive, ma poco si sofferma sull'approfondimento psicologico dei personaggi. Sui loro obiettivi, sui sentimenti che muovono le loro azioni.

Potrebbe essere voluto, per infondere un'ambiguità di fondo alle vicende. Il problema è che per mantenere questa doppiezza l'autrice si trova impossibilitata a erigere qualcosa di concreto, che vada oltre le belle immagini e gli scambi di battute ad effetto. Ne risulta quindi una confezione accattivante, ma che non stimola granché l'intelletto, costringendo lo spettatore a ricercare un senso mettendo insieme suggestioni minime, mezze frasi, immagini conturbanti (il seme, il mestruo), giustapposte tuttavia senza costrutto. Di fatto, tanti riempitivi in attesa di scoprire la verità.

Un film bello (esteriormente), ma senz'anima, che sacrifica quasi tutto per piazzare un colpo di scena traballante. Senza fare rivelazioni, è indubbio che quanto accade nel finale abbia una credibilità limitata, proprio in termini di verosimiglianza.

Ciò che resta di buono è lo scenario, una società impossibile, già morta, che si trascina in una vita rituale e opulenta, affondando le proprie fauci negli esseri umani che accettano di sottoporsi al rito vampiresco pur di godere almeno un poco di tutto quel ben di dio. Una vita rigorosa nelle forme e nei costumi, in cui domina il pettegolezzo caustico, la doppiezza, l'aridità. Nessuno si salva, perché la ricchezza corrompe chi la possiede e anche chi la desidera.

Immagini memorabili (la vasca della sorella...), inquadrature intelligenti (la camera fissa nel mostrare l'atto di “necrofilia” è da grande regista), un protagonista antipatico quanto basta (Barry Keoghan), ma la sceneggiatura resta troppo vuota, superficiale, poco credibile. Fennell lasci da parte i colpi di scena, perché il talento per fare di meglio c'è, senza ombra di dubbio.

Seguici sui nostri canali