“Stà ’nsèma a palèta”, piacere instabile
La frase era pronunciata alle spalle di una coppia non sposata
di Ezio Foresti*
Noi conosciamo bene la palèta de la polènta, quell’arnese che, secondo il Tiraboschi, serve a “raggiustare e rotondare la polenta dopo ch’essa è stata rimenata nel paiolo”. Un attrezzo utilizzato quindi per dare l’ultimo tocco artistico a quel capolavoro che così spesso illumina le nostre tavole.
Ma un tempo la palèta era anche la piastrella, impiegata in giochi di precisione dove solitamente si doveva avvicinare, raggiungere o colpire un bersaglio. I più anziani tra noi ricorderanno senz’altro le partite a piastre dell’oratorio, in cui vinceva chi si approssimava di più a un pacchetto di figurine, arrivando in alcuni casi a coprirle.
Questa antica usanza forse spiega, così dice Umberto Zanetti, l’origine di un curioso e diffuso modo di dire bergamasco, stà ‘nsèma a palèta. La frase, spesso pronunciata a mezza bocca dalle zabète del paese alle spalle di una coppia, certificava la mancanza del sacro vincolo matrimoniale, e di conseguenza un comportamento altamente riprovevole per la comunità.
Ma come collegarla al gioco infantile? Ci viene in aiuto l’espressione vègn sö la palèta, cioè “balzar la paletta sulla mano”. In una variante del gioco, infatti, si doveva con destrezza far passare i sassi piatti dalla palma al dorso della mano. Un equilibrio instabile, che lo Zanetti associa alla “mancanza di una forte adesione, di un saldo legame che presupponga l’assunzione di responsabilità e la donazione di sé”. Un ’ipotesi affascinante, che collega gli universi del dovere e del piacere attraverso l’umile presenza della palèta.
C’è però un’altra abitudine disdicevole che può avere dato origine al detto. Fà palèta significava infatti acquistare a credito, e stare insieme a qualcuno senza obblighi e impegni può essere paragonato al possesso di un bene ottenuto senza esborsi. In ogni caso, se l’etimologia non è certa lo è invece la nostra attitudine a giudicare severamente chiunque violi norme ampiamente condivise.
* in memoria
Una volta si diceva: se i và mìa de corde, i và de spac. Gioco di parole fra corde e spago. Non vi erano molte separazioni: quello che difetta al giorno d'oggi è la capacità di sopportazione. Questa, anni indietro, era soprattutto a carico delle donne, le quali, però si prendevano le loro soddisfazioni. Chi ha mai sentito parlare de la "regiùra"? Mia nonna Sandrina , prendendo in giro il nonno Stefano, gli diceva "a té caécc", con chiara allusione al suo attributo. Il nonno ci faceva una risatina, e tutto finiva lì.
Io ho 3 figli con bambini tutti convivono D 10/15/20 anni e on si sposano per he loro dicono che solo spreco di soldi e si amano comunque
L'importante è andare d'accordo. Vi sono tante, troppe, coppie sposate con il "sacro vincolo matrimoniale", successivamente scoppiate con traumi per tutti, soprattutto per i figli.
Be' alla fine oggi come oggi sta espressione ha perso di valore visto che bene o male, sposati o non, si sta insieme un po tutti a paletta....