Mercato del lavoro: in Bergamasca il 74% delle imprese fatica a trovare personale
Riscontrati anche impegno per la formazione e uno sviluppo delle politiche retributive, nel 2023 le uscite per dimissioni il 6,7 per cento
In foto il vicepresidente di Confindustria Bergamo, Paolo Rota
Professionisti che si cercano senza riuscire a trovarli, impegno per la formazione, uno sviluppo delle politiche retributive: sono alcune delle indicazioni emerse dall’indagine sul lavoro in Bergamasca realizzata da Confindustria, svolta tra febbraio e marzo di quest’anno e relativa al 2023.
Alla ricerca hanno aderito a livello lombardo 840 imprese dell’industria e dei servizi, con 164 mila dipendenti e, a livello provinciale, 96 realtà con 15.400 dipendenti, in maggioranza manifatturiere.
La presentazione
Il report è stato presentato ieri mattina (lunedì 9 settembre) in un incontro aperto da Paolo Rota, vicepresidente di Confindustria Bergamo per le Relazioni industriali, che ha tenuto anche le conclusioni, in cui sono intervenuti, per Confindustria Bergamo, Massimo Longhi, responsabile Area studi con dello stesso settore Pietro Frecassetti, ma anche Stefano Malandrini, responsabile area Lavoro e previdenza. Hanno inoltre avuto spazio le testimonianze aziendali di Giuliana Rossini, senior HR manager di Co.Mac, Nadia Longoni, HR manager di Ar-Tex, e Guido Bonfanti, HR coordinator di Sinergia.
«Anche questa indagine evidenzia la profonda evoluzione che stanno vivendo le nostre imprese, sempre più consapevoli della necessità di mettere a punto e implementare politiche avanzate per le risorse umane - ha commentato Rota -. In particolare, la difficoltà nella ricerca di personale, soprattutto per le competenze tecniche, rimane una costante. Diversi segnali, come l’impegno nella formazione, l’attenzione alla premialità e al welfare, smart working compreso, nonché l’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato, sono coerenti rispetto alla necessità di attrarre le persone nel loro percorso professionale».
I dati in Bergamasca
L’indagine è corredata da un focus più generale sul mercato del lavoro a Bergamo: fra i punti rilevanti, il basso livello di disoccupazione, pari al 2,9 per cento medio, e la ridotta partecipazione femminile, che nella fascia 25-34 anni presenta una differenza di oltre venti punti percentuali con quella maschile. Da segnalare, nel 2023, il saldo positivo di oltre seimila unità fra gli avviamenti al lavoro, in totale 128.667, e le cessazioni.
Per quanto riguarda l’industria, si è avuto inoltre un incremento delle assunzioni a tempo indeterminato, passate dal 23 per cento del totale nel 2019 al 27 per cento del 2023, nonostante il rallentamento congiunturale.
In questo contesto, però, si è riscontrata anche la difficoltà nella ricerca del personale: ben il 74 per cento delle imprese bergamasche con posizioni aperte ha evidenziato criticità, un dato nettamente più alto della media regionale che è del 65 per cento. Le maggiori problematiche riguardano le competenze e le mansioni tecniche, a cui si fa fronte, in molti casi, con un aumentato impegno nella formazione interna.
In particolare, la quota di imprese bergamasche che ha offerto ai propri dipendenti almeno un’attività di formazione oltre quella obbligatoria è stata pari al 77 per cento, (contro il 73 per cento del livello lombardo). Per il settore industria si sale all’80 per cento, contro il 74 per cento del campione regionale.
In merito alle politiche di assunzione, un capitolo è dedicato alle condizioni economiche dei neolaureati. La retribuzione d’ingresso in Lombardia varia fra i 25.834 euro annui lordi e i 27.936 euro, a seconda del tipo di laurea e della dimensione aziendale, mentre Bergamo si colloca su valori compresi fra i 25.065 euro e i 26.993 euro, un divario determinato in buona parte dalle diverse dinamiche del capoluogo di regione.
In generale, i laureati in discipline tecnico-scientifiche hanno stipendi migliori di circa duemila euro. Dopo il primo anno, si registra un aumento medio lombardo del 4,2 per cento, che sale al 4,5 per cento per le imprese bergamasche.
L’indagine conferma l’estensione del welfare aziendale, che ha riguardato il 61 per cento delle aziende bergamasche, contro il 69 per cento del livello lombardo. Evidenti le differenze in base alla dimensione: si va dal 73 per cento delle aziende con oltre cento dipendenti al 32 per cento delle aziende fino a 25 dipendenti. Anche la diffusione dello smart working è strettamente connessa alla dimensione aziendale: lo strumento è utilizzato in media nel 46 per cento delle imprese bergamasche, ma la quota sale al 66 per cento nelle realtà con oltre cento dipendenti e scende all’11 per cento in quelle che impiegano fino a 25 dipendenti.
Un focus è stato dedicato ai premi di risultato, erogati dal 76 per cento delle imprese bergamasche partecipanti all’indagine (contro il 70 per cento del valore lombardo). Per il 2024 a livello bergamasco sono stati inoltre programmati aumenti retributivi medi legati a politiche di merito del 3,5 per cento, in linea con il dato regionale.
L’analisi evidenzia anche il tasso di turnover, in particolare quello volontario, che considera solo le uscite per dimissioni ed è pari al 6,7 per cento nella nostra provincia e al 6,4 per cento a livello lombardo. Si tratta, secondo la ricerca di un valore legato alle condizioni del mercato del lavoro: una situazione dinamica come quella bergamasca può incentivare le dimissioni di chi cerca migliori opportunità, con buone prospettive di trovarle.
Forse il problema solo le condizioni lavorative? Contratti a termine, paghe ridicolmente basse, troppo ore di lavoro, ferie obbligate ad Agosto e Dicembre, no smart working, pessimi work-life balance, superminini assorbibili, zero crescita professionale, zero prospettive, essere solo dei numeri, ecc... Poi cercano quelli con esperienza magari prossimi ai 40 anni e dicono che costano troppo e cercano giovani neo diplomati o laureati per dargli forse 800 euro al mese! No no, non è mica questo, sono i giovani che non vogliono lavorare! E il governo non fa nulla!