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Le particolarità del “gaì”, il bergamasco “in codice” dei pastori

Un gergo ancora più criptico del dialetto, che cambia di senso alle parole

Le particolarità del “gaì”, il bergamasco “in codice” dei pastori
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Era d’uso, e in certi casi lo è ancora, parlare in bergamasco appena usciti dalla provincia, per non far intendere ad altri i nostri discorsi. Ma esiste un linguaggio decisamente più criptico, che aveva la funzione di escludere dallo scambio di informazioni chi non faceva parte di una cerchia ancora più ristretta.

Antonio Tiraboschi lo paragona, tra gli altri, all’inglese slang e al francese argot, e il suo nome nella nostra lingua è gaì. Un gergo riservato ai pastori, nato originariamente per impedire la comunicazione con i nemici di sempre, gli agricoltori. Una traccia dell’antica rivalità è nel termine utilizzato per il verbo rubare: cainà, derivato da Caino, il primo contadino.

Tutto il vocabolario è frutto di fantasiose associazioni, recupero di vocaboli antichi o rubati ad altre lingue, storpiature o cambiamenti di significato di parole bergamasche. Scorrere il lessico del gaì riserva non poche sorprese, soprattutto per quanto riguarda i falsi amici di italiano e bergamasco, con suoni che cambiano completamente di senso.

Chi direbbe, per esempio, che barèla non è una lettiga per interventi di pronto soccorso, ma una carrozza? E artù non è il leggendario sovrano capace di estrarre la spada nella roccia ma, ben più prosaicamente, il pane. Si legge dell’ironia, e non poca malizia, in calìgen, che richiama alla mente la fuliggine, in bergamasco calösen, ma si usa in realtà per definire un prete.

Galéna non è l’animale che razzola in cortile ma un sinonimo di forza, còfen non è una parte dell’automobile ma una scarpa mal fatta, oppure un vaso o un bicchiere. E vi sorprenderà sapere che gacc non è il plurale di “gatto”, ma indica qualcosa di bello o di buono, e che bretù non è un grosso copricapo di lana, ma l’orecchio che ci sta sotto.

Se per caso vi capitasse di intercettare un dialogo in gaì, vi conviene far finta di niente. Rischiereste di fare la figura dell’asino, o meglio, del bèrtol.

Commenti
Enrico

Io ho trovato un mini vocabolario ed alcuni scritti in Gaì ,cercando di compilare prose,ma è un impresa titanica Comunque molto interessante come cultura nostrana

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