Torre Boldone dice addio a Mario Loreto, che a cent'anni progettava il futuro
Si è spento nei giorni scorsi dopo aver toccato le 104 primavere pochi mesi fa. Una vita piena e avventurosa, si salvò dai nazisti nascosto nel carbone
di Andrea Carullo
La famiglia e i libri. Sono stati questi i due amori di Mario Loreto, professore e ingegnere elettrotecnico che soltanto pochi mesi fa aveva compiuto 104 anni e che adesso lascia una comunità, una famiglia, tre figli e tanti amici che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene.
La vita di Mario è stata avventurosa e piena. Nato nel 1920, dopo l’armistizio durante la Seconda guerra mondiale venne catturato dai nazisti a Pavia, ma riuscì a salvarsi grazie a un ingegnoso stratagemma: il padre, che era ferroviere, gli consegnò una chiave per aprire la vettura degli ufficiali e così lui, che era stato messo sul treno per un campo di concentramento, si rifugiò lì per poi essere salvato dai macchinisti di Cremona, che lo nascosero in una cassa di carbone.
Tornato ad Avellino, si laureò in ingegneria elettrotecnica e cominciò la carriera di docente, poi una svolta lo portò a Torre Boldone: Mario ricevette una lettera da Bergamo in cui veniva richiesto un insegnante di impianti elettrici per l’allora istituto Esperia.
Così, fatti i bagagli, Mario si trasferì in Bergamasca, dove rimase per tutta la vita. Nel 1952 passò a lavorare a Dalmine nella progettazione di impianti e questo lavoro gli diede l’opportunità di girare il mondo: visitò gli Stati Uniti, dove con le sue pubblicazioni si guadagnò perfino un posto nell’Associazione americana degli ingegneri meccanici, ma anche il Canada, la Nuova Zelanda, il Sud Africa e l’India.
«Papà era una persona severa, un uomo tutto d’un pezzo (...)