Troppi incidenti mortali in Bergamasca, tra strade pessime e «comportamenti irrazionali»
Roberto Breda è specializzato nella ricostruzione di sinistri (oltre tremila) e ha collaborato con diverse università per studiare i comportamenti alla guida

La strage sulle strade bergamasche non si ferma mai. Il dottor Roberto Breda nella sua attività di perito ha ricostruito oltre tremila incidenti stradali, mortali o con conseguenze gravi, e ha collaborato con diverse università, pubblicando studi e ricerche. Lo abbiamo sentito.
Dottor Breda, in Bergamasca è di nuovo emergenza.
«Una recente inchiesta sulle aree più pericolose d’Italia colloca Bergamo in ottava posizione. Ma nelle prime dieci è la più piccola, le altre sono Roma, Milano, Firenze, Torino e così via. Fatte le debite proporzioni, la nostra, di fatto, è la provincia più pericolosa».
E perché, secondo lei?
«Perché negli ultimi dieci anni si è allentata la presa, diversamente da quello che era avvenuto in precedenza quando, su spinta dell’Europa, a Bergamo come in tutta Italia si era riusciti a dimezzare il numero delle vittime. Nel 2007, l’anno orribile, si erano avuti ben 147 morti, poi progressivamente si arrivò a 50. Fu un gran risultato».
In che senso si è allentata la presa?
«Gli incidenti dipendono da tre fattori: le strade, le persone e i mezzi. Negli anni virtuosi è stata migliorata la manutenzione delle arterie, la sicurezza dei veicoli ed è stato portato avanti un massiccio programma di educazione stradale. Con l’andare del tempo ci si è, per così dire, seduti sugli allori. Tenga conto che i giornali, giustamente, pubblicano i numeri dei morti, ma per ognuno di questi ci sono dieci o venti incidenti con lesioni gravemente invalidanti. A peggiorare la situazione, a Bergamo c’è stato il Covid».
Che cosa c’entra il Covid?
«È un dato di fatto che dopo Covid c’è stato anche sulle strade un aumento di comportamenti irrazionali. A causa dello choc è diminuita la soglia istinto-reattiva di sopravvivenza. È comprensibile che si temano di più le malattie che gli incidenti, ma il numero dei morti per la pandemia a Bergamo, psicologicamente, ci ha fatto sembrare che un incidente stradale non sia più una calamità. In questa situazione, già di per sé delicata, anche sul piano giudiziario si è diventati più tolleranti: l’entrata in vigore della depenalizzazione rispetto alla legge sull’omicidio stradale della Riforma Cartabia. Mentre prima si rischiava il carcere anche per i sinistri con feriti gravi, ora si consente spesso il ricorso al patteggiamento o alla condanna ai servizi sociali».
Analizziamo uno per uno i tre classici fattori degli incidenti. Come sono messe le strade della Bergamasca?
«La nostra provincia è attraversata da alcune importanti ex statali la cui manutenzione è stata “scaricata” dallo Stato sulla Provincia senza un adeguato passaggio di risorse. Oggi, a parte la Padana superiore, che era una delle più pericolose ed è stata sgravata grazie alla Brebemi - le autostrade sono dieci volte più sicure delle altre strade -, nelle altre arterie a scorrimento veloce non è migliorata né la larghezza delle corsie, né la riasfaltatura, né la segnaletica orizzontale (talora non si vede neanche la linea di mezzeria), né c’è stato un adeguamento dei limiti di velocità. Su queste strade c’è una pericolosità notevole, relativa soprattutto alla possibilità di scontri tra auto e camion, per non dire dei rischi per chi le percorre in bici o in moto quando mancano piste dedicate. Quando due veicoli vanno in senso opposto ad alta velocità non li puoi far sfrecciare a mezzo metro di distanza l’uno dall’altro, la circolazione stradale moderna prevede una separazione delle due correnti di traffico con dei new jersey, o la separazione totale come avviene negli Usa e in Canada».
E spesso le strade sono pure buie.
«Altro aspetto delicatissimo. Erano state introdotte norme per l’illuminazione, soprattutto in presenza di passaggi pedonali. La cosa drammatica è che non è stata prevista la manutenzione di quegli impianti e che quindi, quando c’è un guasto, nessuno lo ripara». (...)