Artrosi al ginocchio: quando intervenire e come si cura

Artrosi al ginocchio: quando intervenire e come si cura

Dolore all’articolazione, rigidità, specialmente al mattino, gonfiore, rumori articolari durante il movimento e difficoltà a muovere o piegare il ginocchio sono tutti sintomi che possono indicare una possibile artrosi al ginocchio, chiamata anche gonartrosi. Si tratta di una patologia degenerativa che porta all’usura progressiva della cartilagine articolare del ginocchio, causando attrito tra le ossa (femore, tibia e rotula). Non esiste una cura definitiva, ma è possibile gestire i sintomi e rallentare la progressione con trattamenti conservativi, farmacologici, medicina rigenerativa oppure, nei casi più gravi, si può percorrere la via chirurgicaHabilita I Cedri, la casa di cura di Fara Novarese (NO) è specializzata proprio in chirurgia protesica in ambito ortopedico. Abbiamo chiesto al Dr. Edoardo Guazzoni, chirurgo ortopedico di Habilita, spiega come si interviene nei casi di artrosi al ginocchio.

Dottore, quali sono i sintomi principali legati alla gonartrosi?

«L’artrosi al ginocchio è una malattia degenerativa che compromette progressivamente la funzionalità articolare. I primi sintomi sono dolore e rigidità, inizialmente legati allo sforzo e successivamente presenti anche a riposo. Spesso il paziente lamenta difficoltà nei movimenti al risveglio o dopo periodi di inattività. Con il tempo compaiono gonfiore, scricchiolii e limitazione della mobilità, fino ad arrivare a deformità e instabilità articolare. Tutto ciò rende sempre più difficile camminare e svolgere le normali attività quotidiane, con un impatto significativo sulla qualità della vita».

Ci sono soggetti più a rischio?

«L’artrosi al ginocchio colpisce soprattutto con l’avanzare dell’età ed è più frequente nelle donne. Anche chi pratica lavori fisicamente impegnativi o sport ad alto impatto è più esposto al rischio, così come chi ha subito traumi precedenti come lesioni meniscali o legamentose, ad esempio la rottura del crociato. In questi casi, la probabilità di sviluppare artrosi precoce è molto più elevata».

Quali sono le alternative all’intervento chirurgico?

«La chirurgia non rappresenta la prima opzione di trattamento. Nella maggior parte dei casi, si inizia con terapie conservative. I farmaci antinfiammatori aiutano a ridurre il dolore e l’infiammazione, mentre la fisioterapia migliora mobilità e forza muscolare. Quando questi approcci non bastano, si ricorre alle infiltrazioni: il cortisone nei momenti di infiammazione acuta, l’acido ialuronico per lubrificare e proteggere l’articolazione, e per casi selezionati, trattamenti ortobiologici come PRP o cellule mesenchimali, che stimolano i processi di riparazione dei tessuti».

Quanto è invasivo l’intervento di protesi?

«L’intervento oggi è molto meno invasivo rispetto al passato, grazie a tecniche chirurgiche raffinate, all’uso della robotica e a protesi sempre più evolute. Il ginocchio è composto da tre compartimenti: se l’artrosi colpisce solo uno di essi, è possibile impiantare una protesi monocompartimentale, una sorta di “mini-protesi” che preserva gran parte dell’articolazione e i legamenti crociati. Quando invece sono interessati più compartimenti, si ricorre alla protesi totale, che sostituisce l’intera articolazione, conservando però, grazie alle tecnologie moderne, il legamento crociato posteriore. Questi progressi si traducono in interventi più precisi, meno dolorosi e con un recupero molto più rapido, tanto da permettere in molti casi il ritorno anche all’attività sportiva».

Quanto durano mediamente le protesi di ginocchio?

«Oggi la durata delle protesi non deve più rappresentare un timore. I nuovi materiali hanno reso gli impianti molto più resistenti all’usura. L’introduzione del polietilene reticolato con vitamina E, insieme all’impiego del metallo trabecolare per le protesi non cementate, ha migliorato enormemente la longevità delle componenti. A ciò si aggiunge la precisione garantita dalla chirurgia robotica, che ottimizza l’allineamento e la funzionalità della protesi. Tutto questo si traduce in una durata media di circa 20 anni, rendendo l’intervento una soluzione affidabile e duratura».

La riabilitazione quanto dura?

«Anche il percorso riabilitativo è oggi molto più rapido e meno impegnativo rispetto al passato. Grazie alle tecniche mini-invasive e ai protocolli fast-track, il paziente può essere dimesso già dopo 3 giorni e iniziare la riabilitazione a domicilio. Gli esercizi appresi in ospedale possono essere proseguiti in autonomia o con il supporto di un fisioterapista, in base alle esigenze. L’obiettivo è tornare in breve tempo a una vita attiva e indipendente, con un recupero funzionale che avviene in poche settimane».