svelati i dettagli

Steward truffatori, spuntano le intercettazioni: «Coi magheggi sui Gratta e Vinci facevo tanti soldi»

Dalle telefonate intercettate emergono i trucchi usati in volo per intascare denaro. Uno dei due ammette al gip: «Ho capito i gravi errori»

Steward truffatori, spuntano le intercettazioni: «Coi magheggi sui Gratta e Vinci facevo tanti soldi»

«Con i magheggi li ho venduti tutti». È Marco Criniti, 39 anni di Cavernago, a vantarsi al telefono con un collega di come sia riuscito a piazzare tutti i Gratta e Vinci durante un volo. Il trucco? Semplice quanto efficace: dire ai passeggeri che non esistono biglietti singoli ma solo pacchetti da 16 tagliandi a 10 euro. E se qualcuno storce il naso? «Tanto se sono italiani nel 99,9% non stanno lì a guardare», si compiace lo steward nelle conversazioni finite agli atti dell’inchiesta della guardia di finanza.

Le telefonate che incastrano i due

Le intercettazioni disposte dal nucleo di polizia economico-finanziaria delle fiamme gialle di Bergamo svelano i retroscena del sistema messo in piedi da Criniti e dal collega Orazio Monteleone, 29 anni, entrambi assistenti di volo di Malta Air, società controllata da Ryanair. Conversazioni che hanno portato all’obbligo di dimora per il primo, mentre per il secondo la Procura aveva chiesto gli arresti domiciliari.

In una telefonata particolarmente eloquente, Criniti racconta a un altro collega l’espediente usato su un volo di ritorno da Tenerife. I passeggeri erano convinti di dover pagare solo con carta di credito, ma lui aveva annunciato che per la donazione alla onlus era possibile usare anche i contanti. «Tanti soldi li ho fatti così», ammette senza giri di parole. In altre occasioni dichiarava semplicemente che il Pos era fuori uso, incamerando direttamente i pagamenti in cash.

Bottino variegato

Se il contrabbando di sigarette rappresenta il nucleo dell’accusa (il gip Riccardo Moreschi parla di «oltre 50 chili per ciascun indagato in via prudenziale»), dalle intercettazioni emerge un quadro molto più articolato. I due parlavano apertamente anche di profumi sottratti: in una conversazione qualcuno chiede a Monteleone se ha pagato un Mont Blanc da 160 euro. La risposta è netta: «No, no».

E quando Criniti racconta di aver venduto tre trolley, è ancora più esplicito sulla destinazione del ricavato: «I soldi me li sono messi in tasca». Secondo gli investigatori, non si trattava quindi di vendite regolari a favore della compagnia, ma di appropriazioni indebite sistematiche.

«Roba da Lupin Terzo»

Particolarmente dettagliate le conversazioni sul sistema usato per accedere alle sigarette custodite negli aerei. È Monteleone a spiegare come funzionasse. Inizialmente i lucchetti dei box «saltavano via facile», tanto che un suo interlocutore commenta stupito: «Roba da Lupin Terzo». Poi la compagnia ha sostituito le chiusure «per tutti i Ryanair», complicando ma non fermando le operazioni.

Dalle telefonate emerge che il giro d’affari era tutt’altro che marginale: «500 euro al mese» si riuscivano a fare con le «bionde», con acquirenti pronti a comprare anche per 600 euro alla volta.

La strategia dei prestiti

Ma è un’altra conversazione a far luce sulla strategia elaborata per non destare sospetti. Criniti, parlando con Monteleone, elenca i lavori realizzati negli ultimi tre anni: «Piscine, pannelli solari, pavimenti, giardini, auto».

Troppo per uno stipendio da steward. Da qui la decisione, come spiega lui stesso, di chiedere due prestiti in banca, da 24 e 36 mila euro, «per deviare le attenzioni». Prestiti che madre e sorella hanno poi ripagato in sei mesi, ricevendo da lui i soldi in contanti.

Secondo la guardia di finanza, come riportato dal Corriere di Bergamo, l’obiettivo era evidente: non ostentare un tenore di vita sproporzionato rispetto alle entrate ufficiali, costruendo una facciata di normalità attraverso finanziamenti bancari apparentemente leciti.

L’ammissione davanti al gip

Chiamato a presentarsi davanti al giudice per le indagini preliminari per l’interrogatorio preventivo, Criniti ha reso dichiarazioni spontanee in cui ha affermato di aver «compreso i gravi errori» commessi e di essere preoccupato per le conseguenze sul lavoro e sulla famiglia.

Il suo avvocato, Stefano Di Pasquale, ha preferito non rilasciare commenti. Diversa la situazione di Monteleone, che non è stato possibile rintracciare.

Un fenomeno più diffuso?

Dalle intercettazioni filtra anche qualche indizio su un possibile ambiente lavorativo non del tutto inconsapevole. I due indagati si lamentano del fatto che si parlasse di loro, probabilmente tra i colleghi. Raccontano episodi in cui il box delle sigarette era stato trovato già vuoto: «Era già passato qualcuno», commentano, aggiungendo con cinismo: «Il primo che arriva meglio alloggia».

Citano poi altri che a loro dire sarebbero «delinquenti da arresto», lasciando intendere che il fenomeno delle sottrazioni potesse essere più esteso. Ipotesi su cui però non ci sono al momento ulteriori riscontri investigativi.

I numeri dell’accusa

Il giudice Moreschi, pur riconoscendo i gravi indizi di colpevolezza solo per un’accusa di contrabbando a testa (il reato scatta sopra i 15 chili, sotto è illecito amministrativo), ha definito la condotta dei due come «strutturata in un collaudato sistema criminale» con episodi quotidiani.

La guardia di finanza ha quantificato in 53 chili le sigarette attribuibili a Monteleone (profitto stimato: 7.954 euro) e in 58 chili quelle di Criniti (8.805 euro).

Le perquisizioni del 27 maggio avevano portato al sequestro di 20 chili di tabacco lavorato nell’abitazione di Criniti e di 9,7 chili da Monteleone. Il pm Paolo Mandurino (ora trasferito in altra sede) aveva costruito l’impianto accusatorio sul totale delle sigarette vendute nel tempo, considerando che singolarmente ogni sottrazione dagli aerei non poteva superare la soglia penale dei 15 chili.

L’inchiesta era partita nel luglio 2024 da un controllo della Finanza in un bar di Bergamo, dove il titolare era stato arrestato con oltre 30 chili di sigarette di contrabbando e 45 grammi di cocaina. L’analisi del suo cellulare aveva portato agli inquirenti il nome di Monteleone e, attraverso le sue telefonate, quello di Criniti, che il più giovane dei due chiama spesso «boss».