Aveva solo 23 anni Costante Martinelli quando trovò la morte nel deserto egiziano, travolto dall’esplosione di un autocarro carico di mine nei pressi di Gebel Khalak. Sminatore del Genio militare in forza alla divisione “Trieste”, era nato a Mariano di Dalmine nel 1919. Partì per la guerra lasciando dietro di sé la famiglia, gli amici, i sogni di un futuro semplice e sereno.
Era uno dei tanti dalminesi che non fecero ritorno dal secondo conflitto mondiale e che saranno ricordati durante la tradizionale festa dell’unità nazionale e delle forze armate che, a Dalmine, quest’anno si celebra il 2 novembre.
Il programma prevede il ritrovo delle autorità e delle associazioni d’arma alle 9.45 alla chiesa parrocchiale di San Giuseppe, la messa alle 10 e, alle 10.45, il corteo con la deposizione della corona d’alloro ai monumenti ai caduti, accompagnato dai corpi musicali San Lorenzo Martire di Mariano e di Sforzatica.

Nel contesto di questa ricorrenza, Enzo Suardi dell’Associazione storica dalminese ha voluto ripercorrere il dramma umano che si cela dietro la divisa, puntando sulla paura e sul coraggio di un ragazzo qualunque, travolto da una guerra più grande di lui. La ricostruzione della vicenda è stata resa possibile grazie al prezioso contributo di Teresa Locatelli e del figlio Sergio Martinelli. Un ringraziamento speciale va anche a Valerio Cortese per i consigli forniti, a Gianni Valota e Luca Martinelli dell’Asd, e ai dipendenti dell’Archivio di Stato di Bergamo e della biblioteca comunale di Dalmine.

Costante era orfano e viveva con il fratello Giovanni nella cascina di famiglia a Mariano. Durante una licenza premio, ottenuta per aver sminato con successo una vasta area del fronte, tornò a casa dove ritrovò gli amici, la quiete e l’affetto dei suoi cari. Ma il richiamo della guerra era vicino, e lui lo sapeva.
«Teresa, oggi novantaseienne e ancora lucida, ci ha raccontato, alla presenza del figlio Sergio Martinelli e con le lacrime agli occhi, che Costante non voleva ripartire – spiega Enzo Suardi – nonostante Giovanni e tutta la sua famiglia in ginocchio lo pregassero di desistere anche perché poi le milizie fasciste si sarebbero vendicate su di loro».
Così, con il groppo in gola si presentò in caserma per la firma (…)