La Corte d’Assise di Bergamo, nella mattinata di oggi (giovedì 13 novembre), ha deciso: Monia Bortolotti , la giovane madre accusata di infanticidio, è stata è stata assolta. Per la morte di Alice, di 4 mesi, «il fatto non sussiste»; mentre per il fratello Mattia, di soli 2 mesi, è stata riconosciuta l’incapacità totale.
Bortolotti resterà in Rems per dieci anni, le strutture che oggi sostituiscono i vecchi manicomi giudiziari: è questo l’esito del processo di primo grado che ha visto la 29enne di Pedrengo accusata di aver ucciso i suoi bambini, morti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra tra il 2021 e il 2022.
Nessuna prova per la morte di Alice
I decessi erano avvenuti nell’appartamento di Pedrengo dove Monia era andata a vivere, da Gazzaniga, assieme al compagno di 25 anni più anziano. Per la piccola Alice, la primogenita, i giudici hanno stabilito l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».
Non ci sono prove scientifiche che la sua morte sia stata provocata dalla madre. L’ipotesi dell’omicidio, avvenuto il 15 novembre 2021 e che aveva tenuto banco per mesi, non ha trovato riscontro nelle indagini e nelle perizie: nessun elemento certo, nessuna evidenza che consentisse di affermare la responsabilità penale di Bortolotti.
Per Mattia, atto oscurato dalla malattia mentale
Diverso invece il caso del fratellino Mattia, morto l’anno successivo, la mattina del 25 ottobre 2022. In questo episodio la Corte ha riconosciuto la madre «non punibile» per lo «stato di totale incapacità di intendere e volere al momento del fatto».
Una diagnosi psichiatrica ha confermato la presenza di un grave disturbo mentale che ne annullava la consapevolezza e la responsabilità. Non è stato un gesto lucido, quindi, ma dettato da una mente malata, sopraffatta da una condizione clinica già seguita in precedenza.
Resterà in una Rems
Nonostante l’assoluzione, Bortolotti non tornerà in libertà. La Corte ha disposto per lei una misura di sicurezza detentiva di dieci anni: resterà ospite della Rems di Castiglione delle Stiviere, la struttura sanitaria destinata a chi, pur assolto, è ritenuto socialmente pericoloso.
Ogni sei mesi la sua situazione sarà riesaminata da una commissione medica per verificare eventuali miglioramenti. Solo al termine del periodo stabilito potrà essere rivalutata la possibilità di un ritorno alla vita esterna.
C’è amarezza
Il processo, seguito con attenzione anche fuori dalle aule del tribunale, si è concluso in modo diverso da come molti si aspettavano, con una certa amarezza.
Nella scorsa udienza, il pm aveva chiesto la condanna all’ergastolo, ritenendo la donna responsabile della morte di entrambi i figli. Ma la Corte d’Assise, alla fine, ha accolto le conclusioni delle perizie psichiatriche, che restituivano il ritratto di una persona profondamente disturbata, incapace di comprendere la gravità delle proprie azioni.